Lutero e il costo dell’arcivescovato di Hoenzollern

Non sarebbe corretto descrivere la lucrosa predicazione dell’indulgenza di Tetzel (http://www.questidenari.com/?p=1511) come un’iniziativa personale ed originale nell’Europa che esce – sia pur a fatica – dai secoli dell’età di mezzo.

Piuttosto, la polemica contro le indulgenze trasse la propria origine dallo scontro fra il pensiero di Martin Lutero e l’autorità dei papi.

Martin Lutero - ritratto di L. Cranach il Vecchio (Norimberga, Germanisches Nationalmuseum)Entrato fra gli agostiniani ed ordinato sacerdote, dopo aver conseguito il dottorato in teologia ed essere divenuto professore all’università di Wittemberg, Lutero si trovò ad estendere le sue intuizioni – maturate nel periodo monastico di grande travaglio spirituale – fino a confliggere con l’idea delle “opere meritorie”, fondamento della teologia medievale.

Lutero ebbe per la prima volta la possibilità di contrastare la teoria delle indulgenze quando Alberto di Hoenzollern, già titolare illegittimo di due vescovati per via della giovane età, volle divenire arcivescovo di Magonza per accrescere ulteriormente il proprio prestigio.

Papa Leone X, che aveva chiesto il pagamento di una tassa di 12.000 ducati per i 12 apostoli, finì col riceverne soltanto 10.000 a conclusione della trattativa con Alberto che avrebbe voluto pagarne 7.000 per i 7 vizi capitali. Nel 1515, e per i sei anni successivi su quei territori, il papa proclamò un’indulgenza al fine di aiutare Alberto ad estinguere il debito attraverso il percepimento della metà dei relativi proventi; la rimanente metà, incassata dal papa, sarebbe stata destinata alla fabbrica di San Pietro.

Il successivo incarico al domenicano Tetzel, giunto a predicare l’indulgenza plenaria ad Eisleben, città natale di Lutero, e l’affannosa richiesta manifestata dai suoi stessi parrocchiani, fecero insorgere il monaco riformatore che pubblicò le Novantacinque tesi dal contenuto ostile alla pratica romana.

La rinnovata affermazione della dottrina tradizionale da parte del papa non indusse alcuna forma di ripensamento in Lutero che trascorrerà il resto della sua vita scomunicato dalla chiesa e bandito dall’impero.

Come evitare le liti con l’amministrazione finanziaria /4 – La conciliazione giudiziale

La conciliazione giudiziale è un mezzo con il quale si può chiudere un contenzioso aperto con l’amministrazione finanziaria.

Si applica a tutte le controversie che sono sotto la giurisdizione delle commissioni tributarie provinciali e non può essere richiesta oltre la prima udienza.

Può essere proposta dalla commissione tributaria stessa che prospetta alle parti il tentativo di conciliazione, o dalle parti stesse (contribuente, ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate, Ente Locale, agente della riscossione).

Tuttavia il tentativo di conciliazione non è vincolante: se il contribuente non raggiunge l’accordo nonostante il tentativo, ha la possibilità di proseguire con il contenzioso.

I vantaggi derivanti dalla conciliazione sono i seguenti: 1) riduce le sanzioni amministrative ad 1/3; 2) abbatte fino a metà le sanzioni penali e cancella le sanzioni accessorie; 3) le spese di giudizio restano compensate; 4) evita i rischi e i costi legati alla prosecuzione del contenzioso.

La conciliazione si può effettuare in due modi distinti: in udienza e fuori udienza.

In udienza può essere avviata da una delle parti o dal giudice stesso. E’ necessario che il contribuente o l’ufficio presentino domanda di pubblica udienza presso la segreteria della commissione tributaria, notificata alla controparte entro 10 giorni precedenti alla trattazione. Si può richiedere la conciliazione in tutto o in parte della controversia.

L’ufficio, dopo la fissazione della data di trattazione ma sempre prima dell’udienza, può depositare una proposta scritta già concordata con il ricorrente.

Il giudice tributario autonomamente può invitare le parti a conciliare la controversia: in caso di accordo viene redatto un verbale, sempre in udienza, contenente i termini della conciliazione e la liquidazione delle somme dovute.

Quando la conciliazione avviene fuori dall’udienza, in seguito all’accordo in base al quale si può chiudere la controversia, è compito dell’ufficio – sempre prima della fissazione dell’udienza – quello di provvedere a depositare l’accordo presso la commissione tributaria.

Se l’accordo viene confermato in udienza, il presidente della commissione dichiara con decreto l’estinzione del giudizio.

Circa il versamento delle somme dovute, occorre precisare che i modelli da utilizzare sono l’F24 per le imposte dirette,sostitutive, IRAP ed IVA.

Per le imposte indirette bisogna utilizzare il modello F23. Sui suddetti modelli devono essere indicati i codici tributo reperibili dal sito dell’Agenzia delle Entrate ed il codice atto dell’istituto conciliativo a cui si è aderito.

Per le imposte dirette e l’Iva è possibile effettuare la compensazione con eventuali crediti d’imposta del contribuente.

Il pagamento va effettuato in unica soluzione entro 20 giorni dalla data del verbale. In forma rateale con un massimo di 8 rate trimestrali di uguale importo oppure 12 rate sempre trimestrali se la somma supera 51.645,69 euro. La prima rata deve essere versata entro 20 giorni dal decreto, le altre devono essere maggiorate dagli interessi legali.

Il contribuente dovrà produrre polizza fidejussoria per tutto il periodo di rateazione aumentato di 1 anno.

Gli interessi calcolati vanno dal giorno successivo a quello del processo verbale di conciliazione.

Il contribuente è tenuto a consegnare una copia dell’attestazione del versamento con la documentazione della garanzia prestata.

Nel caso in cui non dovesse avvenire il versamento delle rate successive, l’ufficio provvederà all’iscrizione a ruolo a carico del contribuente e del garante stesso.

SCARICA LA PROPOSTA DI CONCILIAZIONE – formato pdf

Tetzel e l’economia delle anime

Tedesco nato a Pirna nella seconda metà del ‘400, Johannes Tetzel entrò poco più che ventenne nell’ordine domenicano e fu inquisitore in Polonia.

La sua notorietà si lega alla disinvoltura con cui, nel corso delle continue predicazioni finalizzate ad ottenere indulgenza (http://www.questidenari.com/?p=1527) per la fabbrica di San Pietro nel Magdeburgo e nello Halberstadt, fece appiglio su una credenza popolare rimata da una strofetta del tempo.

Joahnnes Tetzel in un'incisione del XVI° secoloSecondo detta tradizione, “quando la moneta dell’offerta tintinnava nella cassetta, l’anima del defunto usciva dal purgatorio”.

Nell’epoca che vide in Germania gli albori del movimento religioso riformatore, caratterizzato da una matrice fortemente critica delle ricchezze temporali ecclesiastiche, le invettive di un giovane professore, il monaco Martin Lutero, non tardarono ad abbattersi sul predicatore tedesco a cui risulterà del tutto inutile la formulazione di tesi contrapposte e la pubblicazione di scritti vari.

Per verità storica, non tutte le denunce di Lutero furono provate in modo documentale – come il fatto che Tetzel assolvesse il peccatore per il solo ottenimento di denaro e senza che vi fosse pentimento – ma di certo l’episodio è esemplificatore del grado di disordine morale degli appartenenti alla Chiesa cattolica agli inizi del sedicesimo secolo.

I centri di costo della RAI: Annozero, Ballarò e Report

E’ apparso sul Corriere.it un interessante articolo che pone in risalto la questione della completa trasparenza dei numeri espressi dai canali Rai in materia di costi e ricavi.

In particolare, il pezzo affronta l’argomento della valutazione economica inerente alcuni programmi delle emittenti nazionali, e specifica – parlando di onestà intellettuale – che il costo delle trasmissioni condotte in Rai, prima di essere giudicato in base allo schieramento politico del giornalista, andrebbe paragonato all’audience ottenuta per ciascuna puntata (o al ritorno conseguito in termini di budget pubblicitario) e con rilevazioni tutte riguardanti lo stesso periodo di tempo, dato che presenza e gradimento dei telespettatori sono mutevoli in continuazione.

Ad esempio, con riferimento alla trasmissione “Ballarò” di Floris, Rai3 spende 15 centesimi di euro per raggiungere un telespettatore, meno di quanto spende per Milena Gabanelli (“Report”: 0,45 euro a telespettatore) e meno di quanto spende Rai2 per Michele Santoro (“Annozero” costa 21 eurocent a persona).

Mi associo in pieno all’appello di Massimo Mucchetti. Anch’io auspico che si realizzi quanto prima una gestione “aziendale” della Rai attraverso l’adeguata trattazione del capitolo dei centri di costo, ben noto a chi si occupa di controllo di gestione: scelto l’oggetto di controllo (il canale Rai, la trasmissione, o altro) facente capo al centro produttivo, a quest’ultimo vanno imputati tutti i costi ed i ricavi che allo stesso sono riconducibili secondo una relazione diretta di causa-effetto, come anche sono imputati i costi indiretti di centro secondo una base di riparto selezionata. Al centro produttivo, poi, viene ribaltata opportunamente una parte degli oneri (costi comuni) che grava sugli altri centri dell’intera struttura, ausiliari al centro di costo produttivo, affinché si completi la configurazione di costo pieno e quindi si proceda alla valutazione del margine di guadagno.

Considerare i soli oneri della trasmissione o del canale Rai, senza riferimento ai benefici, e magari attribuire agli stessi una quota parte dei costi indiretti sulla base di un criterio discutibile e non dichiarato in modo esplicito, significa non solo peccare intellettualmente, ma anche privare altre persone competenti (nel mondo della politica o del giornalismo) degli strumenti di valutazione dei risultati gestionali che stanno a fondamento dell’analisi di bilancio, ovvero impedire il contributo pieno alla crescita dell’azienda pubblica nel contesto concorrenziale.

L’odore dei soldi, secondo Vespasiano

Tito Flavio Vespasiano - Dritto di un sesterzio emesso a Pavia (71 D.C.)Originario di Rieti, Tito Flavio Vespasiano divenne imperatore romano all’età di 60 anni, quando dovette raccogliere la pesante eredità lasciatagli da Nerone, le cui degenerazioni politico-amministrative avevano prodotto una profonda crisi istituzionale ed economica.

Stimato sia dal senato che dal popolo romano per via del suo spirito sobrio, molto distante dai lussi e dagli sprechi che avevano contraddistinto i suoi predecessori, Vespasiano realizzò un’opera di revisione razionale del sistema di esazione fiscale, ma non per questo radicale fino a stravolgerne l’assetto. Senza ricorrere a nuove tasse, egli riuscì ad aumentare il gettito fiscale e risanare le malandate finanze imperiali.

Ecco perché oggi si ritiene che l’episodio della raccolta delle monete dal pavimento delle latrine pubbliche (i vespasiani), ed il gesto di annusarle, faccia parte della narrazione favolistica riassunta con la frase dal significato cinico “pecunia non olet”: i denari delle tasse derivanti dall’uso dei gabinetti, a differenza di quei posti, non emanavano alcun odore, ovvero il prelievo fiscale sui bisogni del popolo non era da considerarsi indecoroso.

La misura del rischio finanziario /2 – Condizioni, formula e beneficio della Leva Finanziaria

Il significato di Leva Finanziaria (http://www.questidenari.com/?p=1437), esplicitato nel termine stesso, fa comprendere che la proprietà può sfruttare un “punto di appoggio” per aumentare il Return on Equity.

In altri termini, l’impresa che ricorre all’indebitamento nei confronti delle banche ha la possibilità di ottenere una maggior tasso di remunerazione sui mezzi propri – riassunto nell’indicatore ROE costituito dal rapporto tra reddito netto e patrimonio netto, ovvero tra il risultato d’esercizio e la somma del capitale sociale e delle riserve.

La misura del beneficio, ma anche la sussistenza delle condizioni a cui lo stesso viene ottenuto, sono chiariti nel momento in cui si proceda ad una formalizzazione del ROE piuttosto semplice nei passaggi algebrici. Se la somma tra il capitale di terzi (CT) ed il patrimonio netto (PN) rappresenta il capitale complessivamente investito in azienda (CI) che al momento ipotizziamo costante, e indichiamo con “i” il tasso passivo sulla concessione dei finanziamenti da terzi (rappresentati dalle banche), con “q” il rapporto tra i debiti ed il capitale investito (q = CT/CI), con “t” l’aliquota (media) fiscale che colpisce il reddito operativo (RO) al netto degli oneri finanziari (OF), la formula [1] del reddito netto (RN) si sviluppa nel seguente modo dopo aver diviso primo e secondo membro per PN:

[2] ROE = RN / PN = (1-t) / (1-q) • (ROI – i•q)

essendo state effettuate le sostituzioni

OF = i • CT = i•q•CI

OT = t • (RO – OF)

ed essendo, come è noto

ROI = RO / CI.

La formula [2], rappresentata graficamente su un sistema di assi cartesiani con ROI in ascissa e ROE in ordinata, esprime una retta con intercetta negativa ed inclinazione positiva, dato che i valori di “t” e “q” – entrambi compresi tra 0 e 1 – rendono sempre positivo il coefficiente del ROI:

Tav. 1

Tav. 1 rappresentazione grafica del Roe in funzione del Roi con indebitamento costante_edited

Se proviamo ad aumentare il quoziente di indebitamento q portandolo al livello q’ attraverso un’operazione di maggior indebitamento (∆CT>0), dovremo disegnare una nuova retta, incidente alla prima nel punto avente ascissa “i”, la cui inclinazione (di nuovo positiva) risulta maggiorata (perché diminuisce il denominatore del coefficiente angolare nella [2]), come accade anche all’intercetta negativa:

Tav. 2

Tav. 2: effetto Leva Finaziaria - rappresentazione grafica del Roe in funzione del Roi con aumento del coefficiente d'indebitamento

L’effetto “leva finanziaria”, a parità di condizioni e per un dato livello di ROI, è rappresentato dalla maggiorazione del tasso di ritorno sui mezzi propri, ed è quantificato dalla differenza LF = ROE’ – ROE, conseguente all’aumento dei debiti verso le banche.

Ma se la leva finanziaria costituisce il “beneficio” sul Return on Equity, non è detto che tale situazione migliorativa si presenti ogni qualvolta si ricorre al debito!

Esattamente, affinché la proprietà decida di effettuare l’operazione descritta, è necessario accertarsi che sussista la condizione di equilibrio economico, sintetizzabile nella disuguaglianza ROI > i.

Come potrete agevolmente verificare dall’ultimo grafico di Tav. 2, solo se il tasso di ritorno sui capitali complessivamente investiti è maggiore del tasso di interesse mediamente pagato sui debiti vi sarà convenienza a “saltare” sulla seconda retta – associata al quoziente d’indebitamento q’ – al fine di ottenere un valore di LF positivo.

Diversamente, qualora il ROI fosse inferiore al tasso i, l’indebitamento si tradurrebbe in un effetto leva finanziaria negativo – con evidente peggioramento sui ritorni della proprietà – mentre il punto di indifferenza, in cui LF = 0, ha coordinate P (i, i(1-t)). Se riflettete sulla questione, capirete uno dei motivi per cui le banche, quando effettuano istruttoria per valutare la possibilità di finanziare un’impresa, chiedono la consegna di copia del bilancio per paragonare la consistenza del reddito realizzato alla somma delle immobilizzazioni e del magazzino.

In ultimo, la misura del rischio, come appare evidente dalla nuova retta, è dettata dalla maggiore pendenza che comporta più forti variazioni positive o negative di ROE, rispetto alla situazione iniziale registrata sulla prima retta, relativamente al caso di aumento del ROI o al caso di una sua diminuzione identica in termini di valore assoluto. In altre parole, in un intorno positivo o negativo del punto di ascissa ROI, il ∆ROE è maggiore per la funzione associata al più alto livello di indebitamento.

(continua http://www.questidenari.com/?p=1544)

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