Finta dell’Euribor a risalire e pressing di Trichet

Niente paura: la lieve – ma al tempo stesso rumorosa – impennata del tasso Euribor trimestrale fatta registrare ieri, non è il segnale del cambiamento.

La seduta ultima del tasso interbancario, salito da 0,739% a 0,75%, sarà ricordata per aver fatto registrare l’inversione di tendenza dopo 36 consecutive al ribasso.

Ecco nel dettaglio l’andamento dell’Euribor 3M nelle ultime due settimane, per un totale di 10 rilevazioni:

Andamento Euribor trimestrale dal 16.09.09 al 29.09.09

Ma come accennato, si tratta soltanto della manifestazione di un fattore tecnico legato alla maggiorata remunerazione richiesta dagli operatori di mercato quando, applicati a lavorare il giorno 29 settembre su scadenze trimestrali che superano l’anno solare, si trovano ad affrontare una più alta complessità contabile. Ovviamente, lo stesso fattore tecnico si ripropone ogni anno in occasioni similari.

E così, dopo che i titolari di mutuo indicizzato all’Euribor a 3 mesi hanno tirato il classico respiro di sollievo, l’attenzione torna a centrarsi sui possibili movimenti della Bce: alle rinnovate parole di Trichet sui tempi non ancora maturi per la exit strategy, si aggiunge il lancio della nuova maxi-operazione finalizzata ad iniettare liquidità nel sistema economico-finanziario.

Molto probabilmente non assumerà le dimensioni da 442 miliardi di Euro dello scorso giugno (http://www.questidenari.com/?p=755) per via della tanta liquidità già esistente, ma in ogni caso si ritiene che questa nuova manovra possa riuscire a mantenere il tasso interbancario agli attuali livelli per un certo periodo di tempo.

Fonte: IlSole24Ore

La misura del rischio operativo /5 – Leva Operativa e costi comuni

Tutti gli esempi sinora analizzati riguardo alle possibili utilizzazioni dello strumento Leva Operativa (http://www.questidenari.com/?tag=leva-operativa) hanno fatto riferimento a casi di scuola volutamente basilari (Tav. 1, Tav. 2 e Tav. 3).

Più raramente i manuali tecnici e le riviste specializzate si riferiscono ad aziende multiprodotto, ovvero ad imprese che sostengono costi operativi comuni a più produzioni.

Nella realtà aziendale questo problema è molto sentito, perché il contesto globale induce le imprese a confrontarsi con l’abbattimento e l’imputazione dei “costi della complessità”, così definiti perché legati allo sviluppo organizzativo e produttivo di una struttura chiamata a creare output sempre più differenziato ed appetibile per il mercato.

In questo senso, valutare il rischio operativo per ogni prodotto significa procedere all’imputazione dei costi non diretti (oggetto di controllo nella fattispecie: il generico prodotto) al fine di stimare il totale dei costi operativi facenti capo all’unità organizzativa che si occupa del bene stesso.

Il problema non è di poco conto soprattutto se si riflette sull’attenzione con cui la stessa metodologia d’imputazione – sia essa tradizionale o innovativa – debba essere applicata per la risoluzione di altri problemi gestionali, a partire da quello cruciale della conoscenza del Break Even Point.

Riprendendo l’esempio dell’esercizio n in Tav. 1, se  procediamo a separare i costi e i ricavi diretti delle due produzioni A e B, e a scorporare i costi fissi in diretti e comuni, potremo verificare la seguente situazione:

Tav. 4

Tav. 4 leva operativa a direct costing

Come si nota, i due prodotti contribuiscono in diversa misura al profitto aziendale e al rischio dell’attività prima dell’imputazione dei costi comuni (CFc): nonostante la sostanziale equivalenza in termini di ricavi (RT) e di 1° margine (MCL), il bene B – prodotto di nicchia (q = 30) dal prezzo più elevato (p = 1,7) – presenta un 2° margine (MCN) più alto ed un grado di leva operativa (LO) più basso rispetto al prodotto A. Se l’analisi fosse limitata a livello “direct costing”, dovremmo concludere a favore del prodotto B.

Tuttavia, proprio per le caratteristiche descritte, il prodotto B assorbe una proporzione maggiore di costi comuni operativi (CFc) che ipotizziamo nella misura di 7 degli 8 totali a seguito di applicazione del metodo Activity Based Costing:

Tav. 5

Tav. 5: leva operativa a full costing

L’analisi a “full costing” manifesta che il contributo dei due prodotti al reddito operativo è praticamente lo stesso (24,9 contro 25,1), e che il bene B si associa a maggiori rischi operativi (1,42 contro 1,37). E’ appena il caso di farvi notare che il nuovo calcolo della Leva Operativa (Tav. 5) ha fornito due valori maggiori dei precedenti (esposti in Tav. 4) per A e B, dato che vi è stato un incremento dei costi fissi (http://www.questidenari.com/?p=1169).

L’imputazione dei costi comuni, su cui ha influito la decisione soggettiva del controller, ha complicato parecchio le idee di coloro che devono intervenire sulle variabili del sistema, se non proprio sovvertito il giudizio formulato inizialmente sulla bontà delle produzioni aziendali.

Ma di certo, e questo era lo scopo, il mio contributo ha dimostrato che il tema dell’attribuzione dei costi non diretti, di capitale importanza, deve emergere con maggiore insistenza nelle pubblicazioni degli esperti in materia, non essendo più ammissibile il ricorso a tecniche di analisi dei costi che ignorino le conseguenze della globalizzazione quando usate per l’interpretazione di un modello di business monoprodotto inadeguato sotto il profilo decisionale.

(continua http://www.questidenari.com/?p=1287)

Come evitare le liti con l’amministrazione finanziaria /3 – Il concordato – processi verbali di constatazione (adesione)

Il decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008 ha introdotto il nuovo istituto di adesione al processo verbale di constatazione.

Esso consiste nel permettere ad un contribuente destinatario di un verbale di constatazione di sollecitare la definizione del proprio rapporto tributario, sulla scorta di rilievi e contenuti compresi nel verbale ricevuto.

Nel caso in cui il contribuente solleciti l’utilizzo di questo istituto, ha diritto alle seguenti agevolazioni: a) riduzione ad 1/8 delle sanzioni ossia alla metà della misura prevista nell’ipotesi di accertamento con adesione; b) pagamento delle somme dovute in forma rateizzata senza alcuna garanzia.

Non tutti i processi verbali di constatazione sono definibili in questo modo, ma solo quelli che hanno come conseguenza l’emissione di un accertamento parziale oppure contengono la constatazione di violazioni sostanziali riferite esclusivamente alle norme in materia di imposte sui redditi Irap ed Iva.

Si definiscono accertamenti parziali quelli emessi ai sensi degli articoli 41 bis del D.P.R. 600/73 e 54, 4° comma del D.P.R. 633/72.

Il contribuente che desidera aderire al processo verbale di constatazione deve comunicare su carta semplice all’ufficio dell’agenzia delle entrate competente e all’organo che ha redatto il verbale.

Nel caso in cui sia stato redatto dall’ufficio, la comunicazione è unica.

La richiesta deve essere presentata entro 30 giorni dalla notifica, utilizzando il modello predisposto dall’agenzia delle entrate in data 10 settembre 2008.

La domanda può essere presentata sia a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, oppure ai soggetti destinatari che ne rilasciano apposita ricevuta.

Essendo la domanda presentata ai sensi e per gli effetti della legge 445 del 2000, deve essere corredata da fotocopia del documento in corso di validità rilasciato da una pubblica amministrazione e munito di foto.

La conseguenza del verbale di constatazione è l’emissione di un atto di definizione di accertamento parziale, contenente le motivazioni e gli elementi su cui si fonda la definizione, la liquidazione delle maggiori imposte, delle sanzioni e delle altre somme eventualmente dovute, da versarsi anche in forma rateale.

L’atto è notificato al contribuente entro 60 giorni dalla data di presentazione della richiesta.

La notifica dell’atto comporta in capo al contribuente l’obbligo di versamento delle somme dovute come riportato sullo stesso; il mancato pagamento comporta l’iscrizione a ruolo delle stesse  somme (http://www.questidenari.com/?p=556). Detta iscrizione non è impugnabile, salvo che la cartella esattoriale contenga errori di calcolo.

SCARICA LA DOMANDA DI ACCERTAMENTO CON ADESIONE DOPO LA NOTIFICA DELL’ACCERTAMENTO – formato pdf

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G20: bonus ai manager e resistenze immotivate (in apparenza)

In questi giorni, i leader riuniti nel G20 a Pittsburgh stanno cercando l’accordo sul tema di shoccante attualità dopo i troppi casi di fallimento dei grandi istituti creditizi, Lehman Brothers in testa.

Nonostante le divergenze sull’argomento provengano proprio, stranamente, da USA e Inghilterra dove la crisi finanziaria ha conosciuto i suoi massimi livelli di intensità, i governanti dei maggiori Paesi al mondo sono intenzionati a collegare i bonus dei top manager ai risultati economici aziendali di lungo termine.

Per gli esperti di Finanza e Controllo di Gestione il concetto inquadrabile nella logica del sistema incentivante è ben conosciuto: si tratta di costituire un fondo alimentato dai risultati economici netti (Economic Value Added) anno dopo anno, e premiare i dirigenti in proporzione ad una percentuale dello stesso fondo:

– 1° anno: Fondo1 = utile/perdita d’esercizio1; Bonus1 = α • Fondo1 se Fondo1 > 0

– 2° anno: Fondo2 = utile/perdita d’esercizio2 + Fondo1; Bonus2 = α • Fondo2 se Fondo2 > 0

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– n° anno: Fondon = utile/perdita d’esercizion + Fondon-1; Bonusn = α • Fondon se Fondon > 0

dove α rappresenta quella percentuale che Francia e Germania vorrebbero tenere cautamente bassa.

La validità dello schema riportato è evidente se si pensa che i dirigenti sarebbero così incentivati ad accrescere la ricchezza aziendale nel medio-lungo termine: infatti, qualora essi volessero, furbescamente, tagliare costi che si collegano a risultati positivi solo a lungo andare (si pensi alle forti spese di Ricerca&Sviluppo), nell’immediato otterrebbero un bonus relativamente basso perché collegato ad un fondo alimentato da poco tempo, e nel lungo termine rischierebbero di non percepire nulla a causa delle perdite conseguenti ai mancati investimenti dei primi anni!

Sorge quindi l’interrogativo: se il metodo per limitare i bonus della finanza è conosciuto da tempo, perché è stato necessario attendere il collasso finanziario di alcuni istituti per tenerlo in seria considerazione? E soprattutto, perché l’accordo è ancora dibattuto?

Una prima risposta è rintracciabile nella peculiarità della limitazione che colpirebbe le sole banche, e non anche aziende appartenenti ad altri settori – si pensi all’industria americana dell’auto e ai miliardi di dollari bruciati negli ultimi anni.

Ma una seconda tesi, che certo mette in ombra questioni di equità sociale nate dalla divergenza tra lo stipendio del capo e quello del magazziniere, pone l’accento sui variegati conflitti di interesse che riguardano i dirigenti lobbysti, capaci di esercitare pressioni influenti sulla sfera politica di molti Stati.

Non da ultimo, il fenomeno di polverizzazione dell’azionariato a cui si è assistito negli ultimi decenni ha determinato l’indebolimento del potere contrattuale – e quindi decisionale – della proprietà nei confronti del soggetto economico, favorendo un processo di selezione della classe dirigente sulla base dell’unico parametro agevolmente controllabile: il profitto. Come è stato per molti falliti, il profitto ad ogni costo.

Zecca e attività di controllo

L’organizzazione di un sistema di zecche (http://www.questidenari.com/?p=1058) realizzato dal potere sovrano, tra l’altro, comporta la predisposizione di attività finalizzate a controllare la qualità delle monete prodotte ed ostacolare probabili tentativi di falsificazione.

Al re Atelstano (924-934) si deve la più antica promulgazione di decreti riguardante la monetazione inglese con cui si stabilisce il numero di fabbricanti di denaro (moneyers) e le rispettive località dove possono operare. Fra queste ultime, a Canterbury poterono fabbricare 4 moneyers facenti capo al re, 2 all’arcivescovo e 1 all’abate.

Più tardi, i sovrani d’Inghilterra, il cui regno si estendeva sui territori francesi, fecero apporre sulle monete il simbolo della zecca di provenienza.

Salute d'oro (1433-1444) di Enrico VI, re d'Inghilterra e FranciaE’ il caso della bellissima “Salute” d’oro di Enrico VI (1422-61 e 1470-71) il cui marchio del leone all’inizio della scritta – al centro in alto dell’immagine – indica la provenienza dalla zecca di Rouen.

Invece, il tondino inserito nella circonferenza di maggior spessore, appena percettibile sotto l’ultima lettera della scritta, rappresenta un marchio segreto di controllo.

La misura del rischio operativo /4 – Outsourcing

Sinora abbiamo considerato i cambiamenti nello schema di base – costituiti dalle variazioni delle vendite (http://www.questidenari.com/?p=1198) e dei costi fissi (http://www.questidenari.com/?p=1169) – come esogeni all’azienda, frutto della stagionalità della domanda o indotti dalle caratteristiche intrinseche del settore economico di appartenenza.

Vediamo adesso come lo strumento della Leva Operativa possa tornare utile al management quando si presenta la possibilità di decidere tra una strategia di internalizzazione ed una di esternalizzazione. Entriamo, cioè, nel campo delle scelte operative.

Per semplicità, non vi esporrò le definizioni di costi sorgenti e costi cessanti, come non vi tedierò rispolverando la vecchia teoria tayloristica.

Vi renderò soltanto l’idea di un’azienda che, attraverso l’utilizzo di macchinari e capannoni di valore ingente, produce internamente beni trasformati da materie prime ottenute a condizioni scontate e lavorate da manodopera esperta in grado di ottimizzare la resa e minimizzare i tempi (Hp 1: internalizzazione).

In alternativa, la stessa azienda, con le stesse prospettive di mercato, potrebbe “liberarsi” di una parte dei costi operativi, come l’affitto del magazzino e i costi d’acquisto delle materie prime, comprando forniture esterne – ovviamente a condizioni più onerose rispetto a quelle della produzione interna – per sopperire alla limitatezza dei propri volumi produttivi conseguente alla scelta descritta (Hp 2: outsourcing).

Questi brevi cenni lasciano intuire che, nella prima ipotesi, l’azienda avrà costi fissi elevati e costi variabili bassi, mentre nella seconda ipotesi registrerà una situazione opposta.

Riprendendo l’esempio di base riferito all’esercizio “n” e riportato in Tav. 1, di cui vi lascio inalterato il profitto per entrambe le ipotesi, avremo il seguente schema:

Tav. 3

Tav. 3: leva operativa e outsourcing

Se limitassimo l’orizzonte di valutazione al reddito operativo (RO) non sapremmo preferire una strategia all’altra, dato che entrambe conducono allo stesso risultato; ma se ci poniamo di fronte a questo esempio con atteggiamento analitico, allora ci accorgiamo che, in caso di esternalizzazione, l’azienda andrebbe incontro a minori rischi operativi (Leva Operativa più bassa per Hp 2) cautelandosi da un eventuale indebolimento della domanda di mercato (12% in meno di profitto, anziché 14%, per un calo delle vendite del 10%).

La scelta della strategia da perseguire, ovviamente, spetta ai dirigenti che potrebbero anche preferire l’ipotesi della produzione interna per motivi legati alle loro attese ottimistiche sulla domanda. Anche il management, come avrete capito, si assume dei rischi svolgendo il proprio lavoro: fra questi, c’è il rischio di quantificare in maniera errata l’aumento del costo variabile derivante dall’abbattimento del costo fisso. Detta pratica, nella realtà aziendale, è assai più impegnativa di quella esemplificata su un foglio di calcolo elettronico …….

(continua http://www.questidenari.com/?p=1213)