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Differito al 31 dicembre 2013 il termine per l’esaurimento del contenzioso tributario pendente. Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216 (art. 29, comma 16-decies)

Attraverso la conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216 (c.d. Milleproroghe 2011: proroga di termini previsti da disposizioni legislative. Differimento di termini relativi all’esercizio di deleghe legislative), è stato differito il termine per l’esaurimento del contenzioso tributario pendente dinanzi alla commissione tributaria centrale.

Articolo 29 – Proroghe di termini in materia fiscale.

16-decies. Il termine del 31 dicembre 2012 previsto dall’articolo 3, comma 2-bis, lettera a), del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73, per l’esaurimento dell’attività della Commissione tributaria centrale è differito al 31 dicembre 2013; per i giudizi pendenti dinanzi alla predetta Commissione, la predetta disposizione si interpreta nel senso che, con riferimento alle sole controversie indicate nel predetto comma ed in presenza delle condizioni previste dalla predetta disposizione, nel caso di soccombenza, anche parziale, dell’amministrazione finanziaria nel primo grado di giudizio, la mancata riforma della decisione di primo grado nei successivi gradi di giudizio determina l’estinzione della controversia ed il conseguente passaggio in giudicato della predetta decisione.

Con riferimento ai ricorsi iscritti a ruolo da oltre 10 anni, slitta al 31/12/2013 il termine per la conclusione dell’attività della Commissione nel caso in cui l’amministrazione sia soccombente nei primi due gradi di giudizio; in caso di soccombenza della stessa amministrazione in primo grado, anche parziale, si realizza l’estinzione della controversia ed il passaggio in giudicato per la mancata riforma nei successivi gradi di giudizio.

D.L. 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 maggio 2010, n. 73

Art. 3, comma 2-bis. Al fine di contenere la durata dei processi tributari nei termini di durata ragionevole dei processi, previsti ai sensi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della predetta Convenzione, le controversie tributarie pendenti che originano da ricorsi iscritti a ruolo nel primo grado, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, da oltre dieci anni, per le quali risulti soccombente l’Amministrazione finanziaria dello Stato nei primi due gradi di giudizio, sono definite con le seguenti modalità:

a) le controversie tributarie pendenti innanzi alla Commissione tributaria centrale, con esclusione di quelle aventi ad oggetto istanze di rimborso, sono automaticamente definite con decreto assunto dal presidente del collegio o da altro componente delegato.

Il compenso in misura variabile previsto per i componenti della Commissione tributaria centrale è riconosciuto solo nei confronti dell’estensore del provvedimento di definizione. Il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria stabilisce i carichi di lavoro minimi per garantire che l’attività delle sezioni di cui all’articolo 1, comma 351, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, sia esaurita entro il 31 dicembre 2012; il mancato rispetto dei predetti carichi è motivo di decadenza dall’incarico. Entro il 30 settembre 2010 il predetto Consiglio provvede alle eventuali applicazioni alle citate sezioni, su domanda da presentare al medesimo Consiglio entro il 31 luglio 2010, anche dei presidenti di sezione, dei vice presidenti di sezione e dei componenti delle commissioni tributarie provinciali istituite nelle sedi delle sezioni stesse;

(omissis)

L’inversione dell’onere della prova per le indagini bancarie

Con sentenza n° 24/8/10, la Ctr Puglia ha stabilito l’inversione dell’onere probatorio finalizzato a neutralizzare le presunzioni basate sulle indagini bancarie: se il contribuente non fornisce prova, la rettifica dei redditi operata dall’ufficio è da ritenersi legittima.

La sentenza origina dall’accertamento di un reddito d’impresa, superiore a quello dichiarato, in base ad un volume di ricavi correlati ai più significativi prelevamenti e versamenti bancari effettuati. Nella specie, l’amministrazione finanziaria ha chiesto al contribuente di giustificare – fatto poi non verificatosi in sede di contraddittorio e di processo tributario http://www.questidenari.com/?tag=risoluzione-controversia – esborsi e versamenti bancari corrispondenti a presunte forniture non contabilizzate.

Sul punto, la sentenza n° 172/2/09 della Ctp Bari ha precisato: la presunzione legale di equiparazione dei prelevamenti ai ricavi deriva dalla deduzione che i prelevamenti non giustificati siano indicativi dell’acquisto di beni e servizi in evasione d’imposta, e che gli stessi acquisti divengano produttivi di vendite in nero, ovvero producano ricavi sottratti a tassazione.

Successivamente la Ctp, accogliendo l’istanza del ricorrente contro il verbale di constatazione dell’ufficio, ha affermato che i verificatori avevano fondato le loro presunzioni su fatti incerti e privi delle caratteristiche di gravità, precisione e concordanza.

In proposito, la sentenza n° 84/3/10 della Ctp Enna ha precisato: i dati bancari, relativi all’incasso o al pagamento di somme, rappresentano presunzione di per sé semplice, ed assumono le necessarie qualità di certezza, gravità, precisione e concordanza solo se abbinati a documenti o fatti, anch’essi presunzione di per sé semplice, riguardanti lo stesso importo e dai quali si possa evincere la causale dell’operazione.

A seguito di appello proposto dall’ufficio, la Ctr pugliese ha ritenuto che l’inversione dell’onere della prova, posto a carico del contribuente, sia da riferirsi anche ai conti corrente bancari in relazione ai quali lo stesso abbia disponibilità operativa.

Fonte: IlSole24Ore.com

Come evitare le liti con l’amministrazione finanziaria /4 – La conciliazione giudiziale

La conciliazione giudiziale è un mezzo con il quale si può chiudere un contenzioso aperto con l’amministrazione finanziaria.

Si applica a tutte le controversie che sono sotto la giurisdizione delle commissioni tributarie provinciali e non può essere richiesta oltre la prima udienza.

Può essere proposta dalla commissione tributaria stessa che prospetta alle parti il tentativo di conciliazione, o dalle parti stesse (contribuente, ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate, Ente Locale, agente della riscossione).

Tuttavia il tentativo di conciliazione non è vincolante: se il contribuente non raggiunge l’accordo nonostante il tentativo, ha la possibilità di proseguire con il contenzioso.

I vantaggi derivanti dalla conciliazione sono i seguenti: 1) riduce le sanzioni amministrative ad 1/3; 2) abbatte fino a metà le sanzioni penali e cancella le sanzioni accessorie; 3) le spese di giudizio restano compensate; 4) evita i rischi e i costi legati alla prosecuzione del contenzioso.

La conciliazione si può effettuare in due modi distinti: in udienza e fuori udienza.

In udienza può essere avviata da una delle parti o dal giudice stesso. E’ necessario che il contribuente o l’ufficio presentino domanda di pubblica udienza presso la segreteria della commissione tributaria, notificata alla controparte entro 10 giorni precedenti alla trattazione. Si può richiedere la conciliazione in tutto o in parte della controversia.

L’ufficio, dopo la fissazione della data di trattazione ma sempre prima dell’udienza, può depositare una proposta scritta già concordata con il ricorrente.

Il giudice tributario autonomamente può invitare le parti a conciliare la controversia: in caso di accordo viene redatto un verbale, sempre in udienza, contenente i termini della conciliazione e la liquidazione delle somme dovute.

Quando la conciliazione avviene fuori dall’udienza, in seguito all’accordo in base al quale si può chiudere la controversia, è compito dell’ufficio – sempre prima della fissazione dell’udienza – quello di provvedere a depositare l’accordo presso la commissione tributaria.

Se l’accordo viene confermato in udienza, il presidente della commissione dichiara con decreto l’estinzione del giudizio.

Circa il versamento delle somme dovute, occorre precisare che i modelli da utilizzare sono l’F24 per le imposte dirette,sostitutive, IRAP ed IVA.

Per le imposte indirette bisogna utilizzare il modello F23. Sui suddetti modelli devono essere indicati i codici tributo reperibili dal sito dell’Agenzia delle Entrate ed il codice atto dell’istituto conciliativo a cui si è aderito.

Per le imposte dirette e l’Iva è possibile effettuare la compensazione con eventuali crediti d’imposta del contribuente.

Il pagamento va effettuato in unica soluzione entro 20 giorni dalla data del verbale. In forma rateale con un massimo di 8 rate trimestrali di uguale importo oppure 12 rate sempre trimestrali se la somma supera 51.645,69 euro. La prima rata deve essere versata entro 20 giorni dal decreto, le altre devono essere maggiorate dagli interessi legali.

Il contribuente dovrà produrre polizza fidejussoria per tutto il periodo di rateazione aumentato di 1 anno.

Gli interessi calcolati vanno dal giorno successivo a quello del processo verbale di conciliazione.

Il contribuente è tenuto a consegnare una copia dell’attestazione del versamento con la documentazione della garanzia prestata.

Nel caso in cui non dovesse avvenire il versamento delle rate successive, l’ufficio provvederà all’iscrizione a ruolo a carico del contribuente e del garante stesso.

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Come evitare le liti con l’amministrazione finanziaria /3 – Il concordato – processi verbali di constatazione (adesione)

Il decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008 ha introdotto il nuovo istituto di adesione al processo verbale di constatazione.

Esso consiste nel permettere ad un contribuente destinatario di un verbale di constatazione di sollecitare la definizione del proprio rapporto tributario, sulla scorta di rilievi e contenuti compresi nel verbale ricevuto.

Nel caso in cui il contribuente solleciti l’utilizzo di questo istituto, ha diritto alle seguenti agevolazioni: a) riduzione ad 1/8 delle sanzioni ossia alla metà della misura prevista nell’ipotesi di accertamento con adesione; b) pagamento delle somme dovute in forma rateizzata senza alcuna garanzia.

Non tutti i processi verbali di constatazione sono definibili in questo modo, ma solo quelli che hanno come conseguenza l’emissione di un accertamento parziale oppure contengono la constatazione di violazioni sostanziali riferite esclusivamente alle norme in materia di imposte sui redditi Irap ed Iva.

Si definiscono accertamenti parziali quelli emessi ai sensi degli articoli 41 bis del D.P.R. 600/73 e 54, 4° comma del D.P.R. 633/72.

Il contribuente che desidera aderire al processo verbale di constatazione deve comunicare su carta semplice all’ufficio dell’agenzia delle entrate competente e all’organo che ha redatto il verbale.

Nel caso in cui sia stato redatto dall’ufficio, la comunicazione è unica.

La richiesta deve essere presentata entro 30 giorni dalla notifica, utilizzando il modello predisposto dall’agenzia delle entrate in data 10 settembre 2008.

La domanda può essere presentata sia a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, oppure ai soggetti destinatari che ne rilasciano apposita ricevuta.

Essendo la domanda presentata ai sensi e per gli effetti della legge 445 del 2000, deve essere corredata da fotocopia del documento in corso di validità rilasciato da una pubblica amministrazione e munito di foto.

La conseguenza del verbale di constatazione è l’emissione di un atto di definizione di accertamento parziale, contenente le motivazioni e gli elementi su cui si fonda la definizione, la liquidazione delle maggiori imposte, delle sanzioni e delle altre somme eventualmente dovute, da versarsi anche in forma rateale.

L’atto è notificato al contribuente entro 60 giorni dalla data di presentazione della richiesta.

La notifica dell’atto comporta in capo al contribuente l’obbligo di versamento delle somme dovute come riportato sullo stesso; il mancato pagamento comporta l’iscrizione a ruolo delle stesse  somme (http://www.questidenari.com/?p=556). Detta iscrizione non è impugnabile, salvo che la cartella esattoriale contenga errori di calcolo.

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Come evitare le liti con l’amministrazione finanziaria /2 – L’acquiescenza

Come l’autotutela (http://www.questidenari.com/?p=803), anche l’acquiescenza è una modalità di risoluzione delle liti proposta dall’amministrazione finanziaria.

Sicuramente il contribuente ha la facoltà di proporre ricorso contro le sanzioni irrogate a seguito di accertamenti ma altrettanto sicuramente, a seguito di un controllo (nemmeno troppo approfondito), è facilmente desumibile la possibilità di soccombenza nel contenzioso; quindi per evitare il tutto, si può utilizzare lo strumento dell’acquiescenza.

A differenza dell’autotutela, l’acquiescenza non è gratuita: infatti l’accettazione dell’atto comporta la riduzione ad 1/4 delle sanzioni amministrative irrogate, sempre che il contribuente adempia alle seguenti condizioni:

a) rinunci ad impugnare l’avviso di accertamento

b) rinunci a presentare istanza di accertamento con adesione

c) provveda a pagare entro il termine di presentazione del ricorso le somme complessivamente dovute tenendo conto delle riduzioni.

Ulteriore riduzione è prevista se l’avviso dell’accertamento non è stato preceduto dal cosiddetto invito al contraddittorio, e questa ulteriore riduzione arriva ad 1/8 della sanzione.

I versamenti dovuti vanno eseguiti con il modello F24 per le imposte sui redditi Iva e Irpef, con il modello F23 per le imposte di registro e gli altri tributi indiretti.

E’ possibile fruire della rateazione in 8 rate trimestrali di importo costante se il dovuto non supera la somma di Euro 51.645,69. Qualora l’importo fosse maggiore, la rateazione prevede l’allungamento a 12 rate, sempre trimestrali e di pari importo.

Sulle rate successive alla prima sono previsti gli interessi legali ed il contribuente è tenuto alla presentazione di polizza fidejussoria bancaria o assicurativa a copertura di tutto l’importo e attiva sino all’anno successivo all’estinzione del debito.

E’ compito del contribuente presentare entro 10 giorni dall’avvenuto pagamento copia dello stesso all’agenzia delle entrate presso la quale è stata promossa l’acquiescenza insieme alla copia della polizza fidejussoria.

Il mancato pagamento delle rate successive comporta l’escurtazione della polizza fidejussoria con la richiesta del saldo dovuto alla compagnia assicuratrice la quale si rivarrà sul contribuente.

Anche gli atti di contestazione che comportano l’irrogazione di sole sanzioni possono essere definite con l’acquiescenza ed anche in questo caso il contribuente pagherà solo 1/4 della sanzione riportata.

Come evitare le liti con l’amministrazione finanziaria /1 – L’autotutela

Al fine di evitare il contenzioso, l’amministrazione fiscale ha cercato di migliorare la propria efficienza istituendo delle procedure ad hoc.

Una di queste è l’autotutela, un’autocorrezione che l’amministrazione può adottare, ma bisogna tener presente che si tratta di una facoltà discrezionale.

L’Agenzia delle Entrate può provvedere tramite i propri uffici ad una autocorrezione dell’atto, oppure su istanza del contribuente.

Quindi non è necessario che si attivi il contribuente stesso, ma è consigliato al contribuente di effettuare l’istanza vista la possibilità che l’ufficio non provveda a causa della mole di lavoro da eseguire.

I casi più frequenti di richiesta di annullamento o di revoca di un atto si hanno quando l’illegittimità derivi da: errore di persona, evidente errore logico di calcolo, errore sul presupposto dell’imposta, doppia imposizione, mancata considerazione dei pagamenti regolarmente eseguiti, mancanza di documentazione successivamente presentata, sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolati precedentemente negati, errore materiale del contribuente facilmente riconoscibile dall’amministrazione.

L’atto illegittimo può essere annullato anche in presenza di giudizio pendente o, se è divenuto definitivo, per decorso dei termini per ricorrere o anche, se il contribuente ha presentato ricorso e lo stesso è stato respinto per motivi formali (inammissibilità, improcedibilità, irricevibilità) con sentenza passata in giudicato.

Se si è formato un giudizio sostanziale (cioè il contribuente ha impugnato l’atto e i giudici tributari, con decisione non più revocabile, hanno dato ragione all’amministrazione), l’annullamento è possibile soltanto per motivi di legittimità del tutto diversi da quelli esaminati e respinti dai giudici.

L’annullamento dell’atto automaticamente fa sì che un eventuale accertamento infondato sia ritirato, ed eventualmente le somme pagate a seguito di iscrizione a ruolo siano rimborsate.

Il contribuente, come già esposto, ha facoltà di iniziativa ma deve tener presente che l’istanza di autotutela non sospende i termini per la presentazione del ricorso al giudice tributario, per cui si invita chi si trovasse in dette situazioni a provvedere a presentare il ricorso per non far trascorrere i termini di opposizione.

L’istanza presentata dal contribuente non è soggetta ad alcuna forma particolare, basti pensare che può essere presentata in carta libera: è necessario che ci siano riportati i dati del contribuente, i motivi (possibilmente fondati) che fanno ritenere l’atto illegittimo e quindi annullabile in toto o in parte.

Si fa presente che qualsiasi atto può essere oggetto di riesame.

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