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La misura del rischio operativo /4 – Outsourcing

Sinora abbiamo considerato i cambiamenti nello schema di base – costituiti dalle variazioni delle vendite (http://www.questidenari.com/?p=1198) e dei costi fissi (http://www.questidenari.com/?p=1169) – come esogeni all’azienda, frutto della stagionalità della domanda o indotti dalle caratteristiche intrinseche del settore economico di appartenenza.

Vediamo adesso come lo strumento della Leva Operativa possa tornare utile al management quando si presenta la possibilità di decidere tra una strategia di internalizzazione ed una di esternalizzazione. Entriamo, cioè, nel campo delle scelte operative.

Per semplicità, non vi esporrò le definizioni di costi sorgenti e costi cessanti, come non vi tedierò rispolverando la vecchia teoria tayloristica.

Vi renderò soltanto l’idea di un’azienda che, attraverso l’utilizzo di macchinari e capannoni di valore ingente, produce internamente beni trasformati da materie prime ottenute a condizioni scontate e lavorate da manodopera esperta in grado di ottimizzare la resa e minimizzare i tempi (Hp 1: internalizzazione).

In alternativa, la stessa azienda, con le stesse prospettive di mercato, potrebbe “liberarsi” di una parte dei costi operativi, come l’affitto del magazzino e i costi d’acquisto delle materie prime, comprando forniture esterne – ovviamente a condizioni più onerose rispetto a quelle della produzione interna – per sopperire alla limitatezza dei propri volumi produttivi conseguente alla scelta descritta (Hp 2: outsourcing).

Questi brevi cenni lasciano intuire che, nella prima ipotesi, l’azienda avrà costi fissi elevati e costi variabili bassi, mentre nella seconda ipotesi registrerà una situazione opposta.

Riprendendo l’esempio di base riferito all’esercizio “n” e riportato in Tav. 1, di cui vi lascio inalterato il profitto per entrambe le ipotesi, avremo il seguente schema:

Tav. 3

Tav. 3: leva operativa e outsourcing

Se limitassimo l’orizzonte di valutazione al reddito operativo (RO) non sapremmo preferire una strategia all’altra, dato che entrambe conducono allo stesso risultato; ma se ci poniamo di fronte a questo esempio con atteggiamento analitico, allora ci accorgiamo che, in caso di esternalizzazione, l’azienda andrebbe incontro a minori rischi operativi (Leva Operativa più bassa per Hp 2) cautelandosi da un eventuale indebolimento della domanda di mercato (12% in meno di profitto, anziché 14%, per un calo delle vendite del 10%).

La scelta della strategia da perseguire, ovviamente, spetta ai dirigenti che potrebbero anche preferire l’ipotesi della produzione interna per motivi legati alle loro attese ottimistiche sulla domanda. Anche il management, come avrete capito, si assume dei rischi svolgendo il proprio lavoro: fra questi, c’è il rischio di quantificare in maniera errata l’aumento del costo variabile derivante dall’abbattimento del costo fisso. Detta pratica, nella realtà aziendale, è assai più impegnativa di quella esemplificata su un foglio di calcolo elettronico …….

(continua http://www.questidenari.com/?p=1213)

La misura del rischio operativo /3 – Internalizzazione

Per rispondere al 1° quesito (http://www.questidenari.com/?p=1198) sulla causa che rende il reddito operativo più o meno sensibile al mercato, occorre rielaborare la formula iniziale della Leva Operativa facendo uso delle definizioni di Margine Contributivo Lordo (MCL) e Margine Contributivo Netto (MCN).

Il MCL (anche detto “1° margine” perché ne scaturisce la prima delle scelte operative) è pari alla differenza tra ricavi e costi variabili, mentre il MCN (anche detto “2° margine”) è pari al MCL al netto dei costi fissi (e diretti, per la precisione), ovvero coincide col reddito operativo nel nostro caso.

Ebbene, a parità di condizioni, un’azienda che presenta una struttura dei costi più rigida, ovvero costi fissi più elevati, manifesta pure una più alta sensibilità alle vendite! E’ il caso delle aziende capital intensive, cioè quelle “obbligate” ad investire fortemente in immobilizzazioni e che quindi si trovano maggiormente esposte ai rischi di un mercato in contrazione, ma che (al contrario) beneficiano in più grande misura della produzione interna venduta al momento della ripresa degli ordinativi.

Colgo l’occasione per rammentarvi che il concetto di rischio non va inteso nella sola accezione negativa, bensì nel senso statistico della variabilità – positiva o negativa – dei risultati attorno al loro valor medio!

Riprendiamo l’esempio numerico già esposto in Tav. 1, ed ipotizziamo di raddoppiare i costi fissi:

Tav. 2

Tav. 2: leva operativa e internalizzazione

Come si osserva dalla Tav. 2, lo stesso incremento dei ricavi nella misura del +10%, già ipotizzato nel 1° esempio, stavolta conduce ad aumentare i profitti del 23% ! contro il vecchio 14%.

La spiegazione è di ordine matematico: se con alcuni passaggi algebrici (che vi risparmio: non voglio annoiarvi a sommare e sottrarre le stesse quantità, moltiplicare e dividere, raccogliere e semplificare) trasformate la formula iniziale della Leva Operativa facendo uso delle definizioni dei margini contributivi, avrete:

LO = MCL / MCN, o anche LO = MCL / (MCL – CF)

Per gli scettici: MCL/MCN fa sempre (100-30)/30 = 2,3 per la Tav. 2, come faceva sempre (100-30)/50 = 1,4 per la Tav. 1.

Se in queste ultime espressioni provate ad aumentare i costi fissi (CF), il denominatore (diminuito) farà aumentare la Leva Operativa! Ergo: più costi fissi, più rischi operativi; meno costi fissi e meno rischi operativi.

La stessa spiegazione matematica dei costi fissi, stavolta formalizzata in termini grafici, prevede che siate (voi!) amanti del disegno tecnico: su un sistema di assi cartesiani con le quantità in ascissa ed i valori economici in ordinata, disegnate la semiretta dei ricavi totali, quella dei costi totali e quella dei profitti: divertitevi ad aumentare (o diminuire) le vendite nelle 2 ipotesi – a costi fissi iniziali e raddoppiati – e registrate le variazioni di reddito operativo.

Infine, per chi non se ne fosse accorto, ho già risposto al 2° quesito sulla necessità di disporre di 2 schemi consecutivi di Conto Economico: facendo uso del MCL, evidentemente la risposta è NO.

(continua http://www.questidenari.com/?p=1127)

La misura del rischio operativo /2 – Significato di Leva Operativa

Prima di procedere, occorre distinguere tra le componenti di reddito che rimangono immutate, o variano, sulla base delle quantità prodotte (ed ipotizziamo pure vendute, per quieto vivere!) – pur nella consapevolezza che tale distinzione presenta limiti evidenti in ordine all’esistenza delle infinite sfumature indicate coi termini di costi “semi-fissi” e “semi-variabili”, o in ordine al periodo temporale in oggetto (nel lungo termine cadrebbe ogni distinzione e i costi sarebbero tutti variabili!).

Per quanto attiene ai ricavi, siccome non ci occuperemo delle organizzazioni non profit (anche dette “senza fine di lucro” per via del divieto di distribuzione degli utili) che si caratterizzano per la presenza di ricavi fissi derivanti da donazioni e contributi pubblici indipendenti dal volume dei servizi erogati, la componente in oggetto sarà considerata variabile.

Diversamente, i costi saranno distinti in fissi e variabili in base alla quantificazione del loro ammontare con l’aumento della quantità prodotta.

Se rileggiamo la formula della leva operativa (http://www.questidenari.com/?p=1022), questa indica che una determinata azienda, con una determinata struttura dei costi nell’esercizio n, per l’anno successivo può attendersi (ad esempio) un incremento dell’1,4% di reddito operativo (RO) se le vendite (RT) aumentano dell’1%. Ma vale anche il viceversa, nel senso della pari diminuzione dei profitti al pari calo delle vendite, come si evince dalla rappresentazione dei valori assoluti nell’esercizio speculare (n+1)’:

Tav. 1

Tav. 1: leva operativa e volumi di vendita

La Tav. 1 mostra chiaramente che una variazione positiva (+10%) delle quantità vendute (q), a parità di prezzo unitario di vendita (p), di incidenza unitaria del costo variabile (CVu) e di costi fissi (CF), produrrebbe un incremento del profitto nella misura del +14% (da 50 a 57), esattamente nelle proporzioni indicate dalla Leva Operativa (LO); al contrario, una contrazione delle vendite del 10% nell’esercizio (n+1)’ farebbe diminuire il profitto del 14% (da 50 a 43).

Se questo esempio evidenzia che la Leva Operativa esprime la “reattività”, ovvero la sensibilità dell’impresa a creare profitti, o a generare perdite, tuttavia almeno due questioni appaiono irrisolte:

1) cosa determina la suddetta “reattività”?

2) è necessario disporre di 2 schemi di Conto Economico successivi per eseguire il calcolo della Leva Operativa?

(continua http://www.questidenari.com/?p=1169)