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La misura del rischio operativo /6 – Esempio concreto di Leva Operativa a costi comuni

Con l’intento di avvalorare la mia tesi – esposta nel precedente articolo http://www.questidenari.com/?p=1213 – riguardo alla necessità di rendere centrale il tema del ribaltamento dei costi comuni prima di procedere all’analisi del grado di leva operativa o del punto di pareggio, mi sembra opportuno fornirvi evidenza di un caso esistente tratto dalla realtà delle imprese industriali del nostro tessuto economico.

I dati seguenti, che ovviamente non specificano la denominazione sociale o altri caratteri distintivi dell’impresa in questione per motivi di tutela della riservatezza, si riferiscono ad un’azienda (costituita nella forma di società di capitali ed operante nel settore agroalimentare) che esercita attività di acquisto e vendita del prodotto α, ed attività di produzione e vendita del prodotto β nell’esercizio 2008. La situazione che appare dalle scritture d’obbligo al 31.12 relativamente alla differenza tra valore e costi della produzione, pur in presenza di talune semplificazioni che non inficiano la validità delle cifre espresse in euro, è la seguente:

Tav. 6: Conto Economico dell’azienda X (COGE)

Tav. 6: Conto Economico (contabilità generale)

Il passaggio dalla contabilità generale (COGE) alla contabilità analitico-gestionale (COA) evidenzia che le voci A1 e B6 rappresentano componenti variabili del reddito d’impresa in ragione dell’aumentare dei volumi produttivi, rispettivamente ricavi totali (RT) e costi variabili totali (CVT), e al tempo stesso sono imputabili direttamente alle due produzioni α e β (come esposto in Tav. 7).

Le altre voci necessitano di specificazioni:

–        tra i servizi (B7) sono compresi i costi variabili diretti di trasporto del prodotto β (103.392). I rimanenti costi per pubblicità (106.800), polizza assicurativa del fabbricato (4.000), utenze telefoniche ed energia elettrica (8.400) sono costi comuni (CFc) ad entrambe le produzioni che per semplicità vengono considerati fissi (in realtà, “utenze telefoniche ed energia elettrica” sono costi semi-variabili)

–        i costi per godimento beni di terzi (B8) rappresentano l’affitto per il capannone, costo fisso e comune (CFc)

–        i costi per il personale (B9-a) comprendono i salari degli addetti alla produzione β, pertanto considerati costi fissi e diretti (CFd = 300.000), e gli stipendi del personale amministrativo, costi fissi e comuni (CFc = 109.200)

–        tra i costi per ammortamento (B10) sono compresi quelli per lo specifico macchinario dedicato alla produzione β, costo fisso e diretto (CFd = 53.500), e gli ammortamenti per impianti generici (CFc = 821.058) ed automezzi (CFc = 3.600), entrambi costi fissi e comuni.

Tutto ciò è sintetizzabile nel seguente schema a costi diretti in cui il prodotto (α e β) è posto come oggetto di controllo:

Tav. 7: margini di prodotto a direct costing (COA)

Tav. 7: margini e leva operativa a direct costing (contabilità analitica)

Appare evidente che il prodotto β contribuisce (MCN) al profitto operativo (RO) in misura più cospicua rispetto all’altra produzione, e si associa ad un grado di rischio operativo (LO) abbastanza vicino a quello di α (β farebbe ottenere circa 2 punti percentuali di reddito in più, o in meno, rispetto ad α in caso di una variazione delle vendite nell’ordine del 10%).

Successivamente, l’imputazione dei costi comuni alla produzione β nella misura dell’80% dell’importo totale, dovuta alla scelta della chiave di riparto semplice “ore lavoro” comprensiva delle ore di impiego complessive degli operai e del personale amministrativo, rovescia il giudizio sulla bontà delle due produzioni (Tav. 8): il prodotto α, nello schema a costo pieno, non solo presenta un 2° margine (RO) superiore all’altro, ma mostra pure di avere un grado di rischio (LO) pari circa alla metà di quello del prodotto β.

A questo punto, soltanto dopo l’opportuna considerazione di tutte le componenti di costo operativo, ivi comprese quelle non imputabili attraverso un nesso di causalità diretta, il management sa che dovrà attivarsi per realizzare la semplificazione operativa dell’output β.

Tav. 8: margini di prodotto a full costing (COA)

Tav. 8: margini e leva operativa a full costing (contabilità analitica)

La misura del rischio operativo /5 – Leva Operativa e costi comuni

Tutti gli esempi sinora analizzati riguardo alle possibili utilizzazioni dello strumento Leva Operativa (http://www.questidenari.com/?tag=leva-operativa) hanno fatto riferimento a casi di scuola volutamente basilari (Tav. 1, Tav. 2 e Tav. 3).

Più raramente i manuali tecnici e le riviste specializzate si riferiscono ad aziende multiprodotto, ovvero ad imprese che sostengono costi operativi comuni a più produzioni.

Nella realtà aziendale questo problema è molto sentito, perché il contesto globale induce le imprese a confrontarsi con l’abbattimento e l’imputazione dei “costi della complessità”, così definiti perché legati allo sviluppo organizzativo e produttivo di una struttura chiamata a creare output sempre più differenziato ed appetibile per il mercato.

In questo senso, valutare il rischio operativo per ogni prodotto significa procedere all’imputazione dei costi non diretti (oggetto di controllo nella fattispecie: il generico prodotto) al fine di stimare il totale dei costi operativi facenti capo all’unità organizzativa che si occupa del bene stesso.

Il problema non è di poco conto soprattutto se si riflette sull’attenzione con cui la stessa metodologia d’imputazione – sia essa tradizionale o innovativa – debba essere applicata per la risoluzione di altri problemi gestionali, a partire da quello cruciale della conoscenza del Break Even Point.

Riprendendo l’esempio dell’esercizio n in Tav. 1, se  procediamo a separare i costi e i ricavi diretti delle due produzioni A e B, e a scorporare i costi fissi in diretti e comuni, potremo verificare la seguente situazione:

Tav. 4

Tav. 4 leva operativa a direct costing

Come si nota, i due prodotti contribuiscono in diversa misura al profitto aziendale e al rischio dell’attività prima dell’imputazione dei costi comuni (CFc): nonostante la sostanziale equivalenza in termini di ricavi (RT) e di 1° margine (MCL), il bene B – prodotto di nicchia (q = 30) dal prezzo più elevato (p = 1,7) – presenta un 2° margine (MCN) più alto ed un grado di leva operativa (LO) più basso rispetto al prodotto A. Se l’analisi fosse limitata a livello “direct costing”, dovremmo concludere a favore del prodotto B.

Tuttavia, proprio per le caratteristiche descritte, il prodotto B assorbe una proporzione maggiore di costi comuni operativi (CFc) che ipotizziamo nella misura di 7 degli 8 totali a seguito di applicazione del metodo Activity Based Costing:

Tav. 5

Tav. 5: leva operativa a full costing

L’analisi a “full costing” manifesta che il contributo dei due prodotti al reddito operativo è praticamente lo stesso (24,9 contro 25,1), e che il bene B si associa a maggiori rischi operativi (1,42 contro 1,37). E’ appena il caso di farvi notare che il nuovo calcolo della Leva Operativa (Tav. 5) ha fornito due valori maggiori dei precedenti (esposti in Tav. 4) per A e B, dato che vi è stato un incremento dei costi fissi (http://www.questidenari.com/?p=1169).

L’imputazione dei costi comuni, su cui ha influito la decisione soggettiva del controller, ha complicato parecchio le idee di coloro che devono intervenire sulle variabili del sistema, se non proprio sovvertito il giudizio formulato inizialmente sulla bontà delle produzioni aziendali.

Ma di certo, e questo era lo scopo, il mio contributo ha dimostrato che il tema dell’attribuzione dei costi non diretti, di capitale importanza, deve emergere con maggiore insistenza nelle pubblicazioni degli esperti in materia, non essendo più ammissibile il ricorso a tecniche di analisi dei costi che ignorino le conseguenze della globalizzazione quando usate per l’interpretazione di un modello di business monoprodotto inadeguato sotto il profilo decisionale.

(continua http://www.questidenari.com/?p=1287)