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Libia e petrolio: previsioni sui tassi Irs ed Euribor a marzo 2011

Il grande dubbio serpeggiato fra gli analisti nelle ultime settimane era incentrato sul corso dei rendimenti dei titoli obbligazionari, provenienti dalle brusche impennate di fine anno scorso e dai valori stabilmente alti di gennaio e febbraio 2011.

A dividere la schiera degli osservatori tra quelli che non vedevano motivo per un ulteriore incremento dei tassi, e quelli fermi su posizioni diametralmente opposte, era stato il peso attribuito alla crescita economica dell’area Euro e all’inflazione nel prossimo futuro. I primi facevano i conti con i dati occupazionali ancora deludenti, i secondi con le recenti spinte al rialzo sul livello dei prezzi.

Di certo le vendite dei Bund (http://www.questidenari.com/?p=3626), registrate sui mercati per molti giorni, avevano aggiunto difficoltà ai problemi dei Paesi periferici che intendevano finanziarsi sul mercato: se la qualità teutonica offriva rendimenti in crescita, aumentava di pari passo (i.e. spread inalterato) la richiesta di guadagno da parte di coloro che rischiavano comprando titoli del debito portoghese (ad esempio), due settimane fa ad un nuovo massimo di rendimento sulla scadenza decennale.

Ma negli ultimi giorni, a partire da metà febbraio, la rapida evoluzione di eventi geopolitici inattesi ha fatto leva sull’aumento del rapporto di copertura dei governativi tedeschi, passando attraverso la paura che le fiammate inflazionistiche possano colpire duro la flebile ripresa tenuta in vita dai fiumi di liquidità erogati dalle banche centrali. Le frizioni tra Paesi periferici e Germania sui parametri di Maastricht, seguite dalle rivolte nei Paesi nordafricani, hanno indotto i money manager a privilegiare la qualità nei loro portafogli e a manifestare così un grado di avversione al rischio tale da far rialzare la testa al Bund (principalmente a scapito delle azioni), il cui diminuito rendimento ha ampliato il differenziale coi governativi degli altri Stati, compresi i Btp (http://www.questidenari.com/?tag=btp-decennale). E ciò nonostante sia diffusa nel mercato la convinzione che le istituzioni europee, attraverso il “veicolo di salvataggio”, forniranno tutto il denaro necessario ai Paesi richiedenti, fra cui Spagna e Portogallo ancora alle prese col debito elevato (fonte: Morningstar.it).

Anche l’Irs ha risentito del cambiamento, segnando ribassi su tutte le scadenze rispetto al mese scorso. Il fixing al 28 febbraio 2011 (tra parentesi il valore al 28 gennaio scorso):

–        10Anni: 3,44% (3,47%)

–        15Anni: 3,74% (3,78%)

–        20Anni: 3,82% (3,85%)

–        25Anni: 3,77% (3,78%)

–        30Anni: 3,67% (3,67%).

In linea col sottostante, sono in rialzo anche i future sul Bund.

Alle diverse rilevazioni del 12 febbraio, 19 febbraio e 25 febbraio 2011, l’Euro Bund-10 anni (Eurex) a scadenza “marzo 11” ha fatto registrare valori rispettivamente pari a 122.78, 123.09 e 124.32, segnalando una fase rialzista destinata a durare forse fino a quota 126.5, a parere degli analisti tecnici (fonte: Plus24 del 26/02/2011).

Con riferimento alla chiusura del future sull’Euro Bund su mercato Eurex, ecco i valori registrati al 28 febbraio:

–        Marzo 11: 124.19

–        Giugno 11: 122.75

–        Settembre 11: 122.27.

Tradotto in termini di riflessi sulla scelta del mutuo casa, la tendenza indicherebbe un tasso fisso più basso per le prossime settimane, ma è chiaro che la durata della crisi in Nord Africa e Medio Oriente giocherà un ruolo fondamentale sulle attese inflazionistiche e su tutto il resto della costruzione economico-finanziaria.

Tasso fisso che negli ultimi tempi torna in cima alle preferenze degli Italiani per i consigli del personale bancario, oltre che per quella componente psicologica di tranquillità (?) insita nella stabilità degli interessi da corrispondere complessivamente alla banca.

Per i richiedenti mutuo insonni causa variabilità degli interessi collegati all’Euribor (tra parentesi i dati dello scorso 28 gennaio nella tavola sopra), è opportuno sapere che il tasso interbancario, oltre ad aver perso il passo da lumaca tenuto per mesi, è restituito implicitamente dai contratti derivati con due rialzi attesi nella seconda metà dell’anno per intervento della Bce, con un incremento totale imputabile a Trichet dello 0,5%.

Ciò è vero nei limiti in cui si realizzeranno le previsioni degli operatori sui mercati, in questo momento condizionate dai timori d’inflazione forse oltre la misura della ragionevolezza.

La Bce, che per la prima volta negli ultimi due anni ha registrato il superamento del tetto fissato al 2% sul medio periodo, aveva fatto sapere di considerare l’aumento dei prezzi al consumo come un fenomeno di breve durata, ma di osservare strettamente la situazione e tenersi pronta ad intervenire in caso di peggioramento delle prospettive di lungo periodo.

La variabile sotto più stretta sorveglianza, nella specie, è il petrolio, a prezzi record negli ultimi due anni e mezzo ma calato ieri a 111,83 dollari al barile per il Brent europeo, e sotto i 97 dollari per il Wti americano, dopo l’annuncio che l’Arabia Saudita aumenterà l’offerta per sopperire alla mancanza della Libia. In continua ascesa negli ultimi dieci giorni (circa +15%), il suo andamento rafforza le attese inflazionistiche sulle scadenze più corte ed i timori di un’economia debole nell’Eurozona a medio-lungo termine: ne deriva un appiattimento della curva dei rendimenti causato da una spinta alla crescita sul tratto iniziale e da un movimento opposto sulle scadenze più lunghe (fonte: MilanoFinanza.it); ed è appena il caso di sottolineare che i mercati azionari, dopo un rally durato 6 mesi, hanno invertito bruscamente la tendenza, come auspicato dai ribassisti, con gli acquisti dirottati sui bond governativi.

Una delle conferme all’imminente aumento dei tassi a breve sarebbe rappresentata dal cambio Euro/Dollaro americano (1,3813 al 1° marzo), rafforzato sui mercati internazionali proprio mentre Axel Weber, presidente dimissionario Bundesbank ma soprattutto membro del consiglio Bce, faceva intendere che i tassi dell’Eurozona non possono far altro che salire.

Qualunque cosa accada, ecco lo scenario delineato sull’Eurex dai future sull’Euribor 3 mesi al 28/02/2011 (tra parentesi i valori al 28 gennaio scorso)

–        marzo 11: 1,16% (1,18%)

–        giugno 11: 1,47% (1,42%)

–        settembre 11: 1,71% (1,63%)

–        dicembre 11: 1,94%

–        marzo 12: 2,15%

–        giugno 12: 2,345%.

In definitiva, il quadro delle attese sui tassi porta cattive notizie per i mutui a tasso variabile, buone nuove per quelli a tasso fisso (ma forse caratterizzate dall’estemporaneità tipica del fenomeno fly to quality), e ulteriori consigli di accorciamento della duration per gli investitori in titoli obbligazionari che, in caso volessero snobbare i rendimenti esigui del mercato monetario, potrebbero rivolgersi all’offerta dei titoli di Stato parametrati all’Euribor semestrale (http://www.questidenari.com/?tag=ccteu) sostitutivi dei vecchi CCT.

(per le previsioni sui tassi Euribor e Irs ad aprile 2011 si legga http://www.questidenari.com/?p=3937)

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Strategie per il portafoglio obbligazionario a giugno 2010: durata finanziaria e scelta fra obbligazioni pubbliche e private

I sopravvenuti dubbi sui conti pubblici ungheresi, l’ennesima e tardiva mazzata sull’affidabilità del titolo della Grecia (http://www.questidenari.com/?tag=bond-grecia) sferrata dall’agenzia di rating Moody’s col declassamento a spazzatura, la reazione di Zapatero ai nuovi interrogativi sui conti spagnoli: tutto ha contribuito a rendere ancora più strambo lo scenario di mercato degli ultimi giorni.

I riflessi sui bond governativi sono quelli già sperimentati in circostanze analoghe: Bund tedeschi (benchmark dell’eccellenza) e titoli dei Paesi periferici, in particolare quello greco, hanno allungato le distanze in termini di rendimento, con oscillazioni che a tratti hanno coinvolto pure i nostri Btp.

Sulla scadenza decennale, lo spread ha registrato il minimo dello 0,45% con i titoli francesi, un paio di giorni fa i più virtuosi dell’Eurozona, dopo i tedeschi e prima degli italiani – per quanto Bill Gross, analista Pimco, ritenga che a breve anche i transalpini dovranno mettere mano a spesa pubblica e tasse. Il differenziale massimo, ovviamente, si è avuto con il 6,35% per i titoli ellenici, finiti sopra al 9% di rendimento.

E mentre l’Unione Europea si affretta a varare un piano per vietare le vendite allo scoperto dei Cds, proprio gli stessi Credit default swap – contratti derivati che prezzano il rischio di fallimento di uno Stato membro, e sui quali si impedirà la scommessa da parte di chi non possiede il sottostante titolo di Stato – mettono a segno una serie di rialzi dei costi assicurativi per tutti i PIGS (con esclusione della seconda “I” della periferica Italia. Fonte: IlSole24Ore.com).

Considerato il grado di incertezza molto alto, cosa dovrebbe fare l’investitore che, dimostrando una moderata predisposizione al rischio, non è fuggito sul conto corrente dove perderebbe opportunità di protezione del capitale dall’inflazione?

Se si guarda al mercato obbligazionario nel suo complesso, l’eventualità di un rialzo dei tassi negli Usa – circostanza legata, fra l’altro, a dati sull’occupazione ben più significativi e duraturi degli attuali – farebbe crollare i rendimenti già deludenti.

I gestori si dividono fondamentalmente in due scuole di pensiero: gli uni, preoccupati per la ripresa economica lenta e per i debiti pubblici esorbitanti, hanno ridotto l’esposizione al rischio emittente riparando sui governativi di alta qualità (come i Bund); gli altri fiduciosi nella ripresa, al contrario, hanno scelto di esporsi sulle obbligazioni societarie (fonte: Morningstar.it).

I rendimenti scarni dei Bot spingono molti risparmiatori nostrani ad allungare la durata del titolo acquistando Btp: tale decisione, tuttavia, li espone al rischio di rialzo dei tassi di mercato, ovvero all’eventualità di vedere ridotto il loro capitale (per vendita prima della scadenza) in proporzione alla durata residua del titolo, ovvero al numero ed alla “pesantezza” delle cedole d’interesse.

Un modo per rendere più versatile l’investimento in titoli del Tesoro a lungo termine può essere quello di comprare Cct: le relative cedole, collegate al rendimento del Bot semestrale cui oggi viene aggiunto uno spread dello 0,15%, fanno in modo che gli interessi (variabili) corrisposti siano superiori a quelli dei Bot e che, al tempo stesso, le perdite in caso di rialzo dei tassi siano più contenute rispetto ai Btp (sempre nell’eventualità della cessione anticipata).

L’alternativa – o il quid per il giusto mix di portafoglio trovato sulla base dei propri obiettivi di spesa pianificati e della propensione al rischio soggettiva – è rappresentata dalla scelta dei corporate bond.

Al momento, rimane il solo settore bancario ad offrire rendimenti interessanti, anche a causa dei sospetti sui bilanci inquinati per la diffusa adozione della politica di acquisto low cost dei titoli di Stato (ora non più “sicuri”) perseguita per molto tempo e agevolata dalla Bce – per approfondimenti si legga http://www.questidenari.com/?p=2614.

I prezzi allettanti delle obbligazioni bancarie dei grandi gruppi, e la consapevolezza sempre più estesa fra gli operatori di mercato che gli investitori istituzionali non saranno abbandonati al loro destino in caso di fallimento, potrebbero costituire fattori motivanti al cambiamento per quei risparmiatori che intendono aumentare i guadagni sul proprio asset (fonte: IlSole24Ore.com).