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Strategie per il portafoglio obbligazionario a giugno 2010: durata finanziaria e scelta fra obbligazioni pubbliche e private

I sopravvenuti dubbi sui conti pubblici ungheresi, l’ennesima e tardiva mazzata sull’affidabilità del titolo della Grecia (http://www.questidenari.com/?tag=bond-grecia) sferrata dall’agenzia di rating Moody’s col declassamento a spazzatura, la reazione di Zapatero ai nuovi interrogativi sui conti spagnoli: tutto ha contribuito a rendere ancora più strambo lo scenario di mercato degli ultimi giorni.

I riflessi sui bond governativi sono quelli già sperimentati in circostanze analoghe: Bund tedeschi (benchmark dell’eccellenza) e titoli dei Paesi periferici, in particolare quello greco, hanno allungato le distanze in termini di rendimento, con oscillazioni che a tratti hanno coinvolto pure i nostri Btp.

Sulla scadenza decennale, lo spread ha registrato il minimo dello 0,45% con i titoli francesi, un paio di giorni fa i più virtuosi dell’Eurozona, dopo i tedeschi e prima degli italiani – per quanto Bill Gross, analista Pimco, ritenga che a breve anche i transalpini dovranno mettere mano a spesa pubblica e tasse. Il differenziale massimo, ovviamente, si è avuto con il 6,35% per i titoli ellenici, finiti sopra al 9% di rendimento.

E mentre l’Unione Europea si affretta a varare un piano per vietare le vendite allo scoperto dei Cds, proprio gli stessi Credit default swap – contratti derivati che prezzano il rischio di fallimento di uno Stato membro, e sui quali si impedirà la scommessa da parte di chi non possiede il sottostante titolo di Stato – mettono a segno una serie di rialzi dei costi assicurativi per tutti i PIGS (con esclusione della seconda “I” della periferica Italia. Fonte: IlSole24Ore.com).

Considerato il grado di incertezza molto alto, cosa dovrebbe fare l’investitore che, dimostrando una moderata predisposizione al rischio, non è fuggito sul conto corrente dove perderebbe opportunità di protezione del capitale dall’inflazione?

Se si guarda al mercato obbligazionario nel suo complesso, l’eventualità di un rialzo dei tassi negli Usa – circostanza legata, fra l’altro, a dati sull’occupazione ben più significativi e duraturi degli attuali – farebbe crollare i rendimenti già deludenti.

I gestori si dividono fondamentalmente in due scuole di pensiero: gli uni, preoccupati per la ripresa economica lenta e per i debiti pubblici esorbitanti, hanno ridotto l’esposizione al rischio emittente riparando sui governativi di alta qualità (come i Bund); gli altri fiduciosi nella ripresa, al contrario, hanno scelto di esporsi sulle obbligazioni societarie (fonte: Morningstar.it).

I rendimenti scarni dei Bot spingono molti risparmiatori nostrani ad allungare la durata del titolo acquistando Btp: tale decisione, tuttavia, li espone al rischio di rialzo dei tassi di mercato, ovvero all’eventualità di vedere ridotto il loro capitale (per vendita prima della scadenza) in proporzione alla durata residua del titolo, ovvero al numero ed alla “pesantezza” delle cedole d’interesse.

Un modo per rendere più versatile l’investimento in titoli del Tesoro a lungo termine può essere quello di comprare Cct: le relative cedole, collegate al rendimento del Bot semestrale cui oggi viene aggiunto uno spread dello 0,15%, fanno in modo che gli interessi (variabili) corrisposti siano superiori a quelli dei Bot e che, al tempo stesso, le perdite in caso di rialzo dei tassi siano più contenute rispetto ai Btp (sempre nell’eventualità della cessione anticipata).

L’alternativa – o il quid per il giusto mix di portafoglio trovato sulla base dei propri obiettivi di spesa pianificati e della propensione al rischio soggettiva – è rappresentata dalla scelta dei corporate bond.

Al momento, rimane il solo settore bancario ad offrire rendimenti interessanti, anche a causa dei sospetti sui bilanci inquinati per la diffusa adozione della politica di acquisto low cost dei titoli di Stato (ora non più “sicuri”) perseguita per molto tempo e agevolata dalla Bce – per approfondimenti si legga http://www.questidenari.com/?p=2614.

I prezzi allettanti delle obbligazioni bancarie dei grandi gruppi, e la consapevolezza sempre più estesa fra gli operatori di mercato che gli investitori istituzionali non saranno abbandonati al loro destino in caso di fallimento, potrebbero costituire fattori motivanti al cambiamento per quei risparmiatori che intendono aumentare i guadagni sul proprio asset (fonte: IlSole24Ore.com).

Bernanke aumenta il tasso di sconto allo 0.75%, ma non si sente fuori dalla crisi

Si tratta solo di una manovra di normalizzazione della politica monetaria, secondo cui un aumento degli spread e un accorciamento delle durate indurrebbero le istituzioni a fare ricorso ai fondi dei privati. Nessun cambiamento per le prospettive economiche o per la politica monetaria; i tassi rimarranno bassi per un lungo periodo di tempo.

Così Ben Bernanke ha motivato l’aumento del tasso di sconto statunitense di 25 basis points che fa salire il costo del denaro per le banche USA dallo 0,5% allo 0,75% (fonte IlSole24Ore).

Nel vecchio continente le variabili da tenere sott’occhio sono più di una: forse questa mossa attesa non cambia di molto lo scenario, ma certo ammonirà Trichet e soci sui tempi della stretta creditizia, non più biblici.

Intanto la risposta immediata del cambio, col dollaro che manda l’euro sotto quota 1,35. Occhio alle quotazioni delle materie prime (http://www.questidenari.com/?p=1829).

Azioni e obbligazioni nella prima metà del 2010: le previsioni per area geografica

Secondo un sondaggio condotto da Morningstar nella prima metà di gennaio tra le principali banche d’investimento operanti in Italia, l’Europa rimane l’area favorita per la crescita delle quotazioni azionarie.

Nonostante l’aumento della disoccupazione nell’eurozona, il debito pubblico greco e il mercato immobiliare spagnolo, le politiche monetarie a sostegno dell’economia e gli annessi segnali di ripresa del PIL inducono i gestori delle principali società di diritto italiano ed estero operanti sul nostro territorio a ritenere interessanti le valutazioni dei titoli nel vecchio continente, dove le condizioni di liquidità dei mercati sono buone.

L’area statunitense continua a destare preoccupazione per i gestori interpellati a causa della conclusione delle manovre di politica economica espansiva, per quanto essi ritengano che gli utili societari siano destinati a risalire dopo il crollo del 2009. Così come preoccupa l’area del Giappone in deflazione che raccoglie il maggior numero di previsioni pessimistiche.

Al contrario, nessuno si attende un ribasso delle quotazioni per la Cina, dove pure i segnali forti e chiari della terminata politica monetaria di sostegno si sono già concretizzati nell’aumento della percentuale di riserva obbligatoria che la Banca centrale ha imposto agli istituti di credito, oltretutto invitati a non concedere ulteriori prestiti alle imprese fino al termine di gennaio.

Sul fronte dei mercati obbligazionari europei, il sondaggio conferma gli orientamenti ultimi sulla stabilità dei tassi attuali per la prima metà del 2010 e sulla crescita dei rendimenti a partire dal prossimo ciclo di politica monetaria, quando la ripresa economica sarà più vigorosa. Favoriti sempre corporate ed emergenti sui governativi.

In materia di valute, aumenta il numero di intervistati che ritiene probabile un apprezzamento del dollaro sull’euro nei prossimi sei mesi, ma sempre sulla scorta delle eventuali manovre sui tassi USA (http://www.questidenari.com/?p=1829).

Fonte: Morningstar.it

La chiusura del 2009 e le previsioni 2010 per i mercati azionari

L’anno appena concluso è stato caratterizzato dalle misure a sostegno dell’economia realizzate dai governanti della politica economica dei vari Stati, e le quotazioni dei principali indici azionari risentono senza dubbio in modo positivo degli interventi operati.

I tassi di crescita attorno al 22% fatti registrare dall’FTSE a Londra, dal CAC francese e dal DAX tedesco non devono però far dimenticare che gli stessi indici hanno perso oltre il 20% se valutati in ottica di periodo decennale.

Bene anche gli americani Dow Jones al 20% e S&P 500 al 25%, performance migliore dal 2003.

Addirittura +45% per il tecnologico Nasdaq, ma ancora poco a confronto con l’indice di Shanghai all’80%, su cui le previsioni permangono rosee in virtù della politica economica stabile cinese e della ripresa economica crescente.

Rimangono dubbi, invece, sulle possibilità di ripresa del Giappone, ancora afflitto dalla deflazione, nonostante un apprezzabile +19% del Nikkei.

I timori, ovviamente, riguardano il momento in cui imprese e consumatori si troveranno ad operare scelte senza il supporto delle politiche anzidette.

Petrolio e oro hanno fatto la loro parte nei rally di borsa. Il primo ha vissuto nel 2009 la più forte impennata degli ultimi 10 anni, attestandosi a 79 dollari al barile, il secondo ha toccato nuovi massimi (+25%).

I prezzi delle materie prime sono stati senza dubbio sospinti dalla debolezza del dollaro che li ha resi a buon mercato per gli investitori esteri, favorendone la domanda. Le previsioni del 2010 sono basate sulla politica monetaria americana, dato che un innalzamento dei tassi comporterebbe un rafforzamento del dollaro e, conseguentemente, una caduta dell’oro.

Fonte: BBC News