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Sant’Agostino nello studio: Caravaggio ritrovato o affare assicurato?

Forse in pochi sanno che nei secoli passati Caravaggio è stato un artista volutamente dimenticato, e non solo per questioni di decoro artistico cui riferiva il Baglione dopo aver visto i piedi sudici e la cuffia sdrucita nel dipinto “Madonna dei pellegrini” (“… leggerezze in riguardo delle parti, che una gran pittura haver dee …”).

Oltre che per motivi formali, Caravaggio è stato trascurato per la compiuta espressione della sua volontà riformatrice della pittura, finalizzata a rendere la rappresentazione oggettiva e adeguata ai nascenti indirizzi etici e scientifici dell’età moderna; e l’ostilità nei suoi confronti si è manifestata a partire da quei contemporanei che, se vedevano in Michelangelo il pittore di Cristo, non potevano non vedere nel violento e controverso lombardo la Bestia dell’anti-Michelangelo.

Grazie a Roberto Longhi, a metà del ‘900, l’interesse per Caravaggio ha preso sempre più vigore sino a trasformare la rivisitazione della sua opera in una vera e propria macchina da soldi, il cui ultimo esempio massimo è rappresentato dall’affluenza record alla mostra del Quirinale dell’anno scorso.

Da qui, inevitabile, si sviluppa a dismisura il fenomeno dei ritrovamenti – veri o presunti – di quadri provenienti dai luoghi più disparati: l’ultima attribuzione di un’opera al Merisi (ma è facile immaginare che ce ne saranno altre) viene dalla storica dell’arte Silvia Danesi Squarzina che, in base a fonti documentate, indica nel “Sant’Agostino nello studio” il frutto di una commissione risalente al Marchese Vincenzo Giustiniani, databile nel periodo giovanile del Maestro, poi finito nelle mani di un collezionista spagnolo (fonte: IlSole24Ore.com).

Sicuramente si tratta di un’opera originale, e non di una copia, considerati i “pentimenti” rivelati dalle indagini radiografiche e riflettografiche; ma si tratta pure di un’opera che, già in mostra alla National Gallery di Ottawa, ha sollevato molti dubbi sulla paternità: a parere del critico Vittorio Sgarbi, il Sant’Agostino mancherebbe di energia espressiva rivelandosi una “bufala”.

Da semplice osservatore ammirato del Caravaggio, che nella specie dispone soltanto di un’immagine digitale per la valutazione, mi limito a qualche appunto sulla tesi dell’attribuzione.

A favore della tesi giocano i fattori dell’accuratezza dei dettagli per la descrizione dei libri sul tavolo e alle spalle del protagonista, tipica del periodo giovanile e abbandonata poi a vantaggio di una pittura essenziale perché condizionata dalla fuga perpetua dopo l’omicidio Tomassoni (“cena in Emmaus” della Pinacoteca di Brera). Il libro più vicino all’osservatore è ben studiato in termini di ombre e non poggia completamente sul piano, pur senza soffrire il disequilibrio tipico della “canestra di frutta”. Occorrerebbe valutare la leggibilità degli scritti, dato che Caravaggio era in grado di dettagliare la partitura musicale sino a renderla eseguibile come per il madrigale del “suonatore di liuto”. Anche il simbolismo, altra costante nell’arte di Caravaggio, è presente con il teschio sullo sfondo.

Contro la stessa tesi dell’attribuzione a Caravaggio, invece, credo vada annoverato un numero maggiore di fattori fra cui la presenza di contrasti per nulla accentuati nel Sant’Agostino. Il bianco dei libri non si accosta mai al nero, né l’incarnato appare pallido e avversato da uno sfondo scuro (come nel “Bacco” degli Uffizi).

E poi i colori: si riscontra un uso limitatissimo del rosso per la mitra vescovile, mentre il “drappo” caravaggesco, con funzione scenica quasi irrinunciabile, è presente con forza in molte opere fra cui il “riposo durante la fuga in Egitto”; al contrario, l’uso del verde è sostanzioso nel panno che ricopre il tavolo, trattandosi di un colore quasi inutilizzato dall’Artista (tra le rare occasioni, il paesaggio del “sacrificio di Isacco”).

E’ presente lo sfondo, mentre solitamente Caravaggio preferiva eliminarlo per concentrare l’attenzione sul soggetto ed aumentare il pathos della rappresentazione.

Impossibile non menzionare le ombre leggibili, da subito tratto fortemente distintivo di Caravaggio, poi sublimato nel periodo della maturità con la descrizione del costato del “San Giovanni Battista” di Kansas City. Il risultato, qui in particolare sulla spalla sinistra del santo, sembra deludere.

Ma soprattutto: i personaggi di Caravaggio, idealizzati o ritratti con la potenza del suo naturalismo, androgini e sognanti (Ragazzo con canestra di frutta) o rozzi e malvagi, gaudenti o dormienti, segnati dalla melanconia o privi di vita, sono sempre fortemente espressivi e caratterizzati da un tratto nitido e deciso che qui non sembra appartenere al pittore. I personaggi del periodo giovanile già manifestano contorni del viso ben definiti, ed il talento di Michelangelo Merisi esploderà poi con tanta forza da farci apparire visibili, quando non lo sono, gli occhi di un San Giovanni imbronciato o di un San Girolamo immerso nella concentrazione della scrittura!

Tutta la pittura di Caravaggio, anche quella meno toccata dalla sua genialità, è comunicativa come la musica di Vasco Rossi: prende allo stomaco. E a guardare il “Sant’Agostino nello studio”, almeno dal monitor, non si prova grande emozione.

(per la cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo a Roma: “Crocifissione di San Pietro: elevazione dello spirito e caduta della materia secondo Caravaggio”)

Flagellazione di Cristo: bruttezza e sensualità a contrasto per Caravaggio

Per la tela raffigurante la “flagellazione di Cristo”, destinata alla chiesa di San Domenico Maggiore, Caravaggio ricevette pagamenti nel maggio 1607, anno successivo a quello dell’omicidio del notaio Ranuccio Tommasoni. L’esecuzione dell’opera, oggi in deposito presso il Museo di Capodimonte a Napoli, non può che aver risentito della particolare condizione esistenziale vissuta da Merisi in quel periodo, riflettendone la tragicità.

Tuttavia, la violenza espressa dai carnefici è sapientemente inquadrata in un contesto pittorico caratterizzato dalla consueta razionalità dello spazio e della luce. Staccati dalla colonna centrale, i personaggi si distribuiscono in maniera simmetrica ad eccezione del più lontano, chino e quasi completamente immerso nell’ombra. Lo sfondo è nero o scurissimo, e le espressioni di malvagità sono appena visibili ma eloquenti sui volti degli aguzzini nerboruti, intenti a procurare martirio sulla carne di Cristo, così debole eppure sensuale nella rappresentazione di un corpo magnifico ed illuminato.

La bellezza del Cristo appare esaltata, anziché impoverita, dalle violenze patite, secondo una descrizione non nuova per l’Artista milanese: uso a proporre il paradosso a lui molto caro, Caravaggio accentua i lineamenti rozzi e brutali dei modelli tratti dal popolo per dare maggiore risalto al candore del protagonista, a sua volta sconcertante per la capacità di comunicare un impulso di carnalità profana.

Solo a partire dal 14 aprile 2010, la Flagellazione potrà essere ammirata presso le Scuderie del Quirinale (http://www.questidenari.com/?tag=scuderie-quirinale).

La Cena in Emmaus del 1606, anno di tragedia per Caravaggio

Oltre ad una rivalità sentimentale, forse un debito di gioco fu tra i motivi che costarono la vita al notaio Ranuccio Tomassoni, ferito mortalmente in duello da Michelangelo Merisi il 28 maggio 1606. Da quel giorno Caravaggio sarà costretto alla fuga perpetua che inizierà nelle campagne romane dei feudi appartenenti ai principi Colonna, dove troverà protezione e potrà continuare ad esprimere il suo smisurato talento artistico.

Con l’esecuzione della Cena in Emmaus della pinacoteca di Brera, avvenuta subito dopo l’assassinio di Campo Marzio in Roma, un’atmosfera dolente avvolge il gesto di Cristo forestiero intento a benedire, spezzare e condividere il pane tra i presenti nell’attimo di gioia contenuta per il riconoscimento del Risorto tra i suoi discepoli, e nello stesso momento quieto della sorpresa incosciente per l’oste e per la vecchia. Caravaggio ripropone il tema già descritto nella prima versione del 1596, ma lo sintetizza col carattere dell’essenzialità nella rappresentazione degli oggetti e delle persone.

Gli elementi scarni della natura morta rintracciabili nel pane e nei piatti che scavano ombre lunghe e drammatizzanti nel bianco della tavola, il vissuto sofferto che traspare dai volti popolani attorno al Cristo, barbuto e non più androgino, ed ancora il buio attorno alla scena di genere fanno apparire l’insieme della composizione solenne, pacato e carico di elevato significato interiore. In tutta la sua potenza espressiva, risalta la spiccata capacità del pittore di comunicare il proprio messaggio in maniera implicita o appena dichiarata, come rivela la percezione del divino nelle persone semplici espressa dal viso dell’uomo seduto accanto a Gesù.

Né gli ultimi ritrovati tecnologici – che hanno svelato un ripensamento di Caravaggio in merito all’eliminazione di una fonte di luce esterna e naturale proveniente da una finestra aperta su un paesaggio, sulla sinistra del dipinto proprio dove ora tutto appare scuro – possono togliere valore a quest’opera di attribuzione certa, attualmente in mostra presso le Scuderie del Quirinale (http://www.questidenari.com/?tag=scuderie-quirinale).