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Madonna dei pellegrini: Caravaggio avvicina la dimensione umana al divino con l’apparizione di Loreto

Con un realismo rivoluzionario e provocatorio perché esternato in epoca di Controriforma, dopo aver superato la prova delle grandi commissioni pubbliche grazie al diffuso consenso ottenuto dai dipinti della Cappella Contarelli, Caravaggio matura una nuova concezione di quadro sacro e legittima il carattere popolare della devozione mariana trasponendo l’episodio dell’apparizione di Loreto.

Secondo numerose fonti archeologiche, letterarie ed iconografiche, nel santuario della città marchigiana viene praticato dal XIII° secolo il culto della Santa Casa di Nazareth, dove la Madonna nacque e ricevette l’annuncio dell’Angelo. Ancora oggi a Loreto, meta di pellegrinaggio, si conserva reliquia della Casa che secondo la leggenda fu portata dagli angeli in volo, simboleggiato nel dipinto dalla postura di Maria sulle punte dei piedi.

La “Madonna di Loreto” (o “Madonna dei pellegrini”) raffigura l’atto con cui il popolo in cammino si affida alla Vergine per essere accompagnato alla scoperta della propria umanità.

Vestita da popolana e col Figlio in braccio, la Madonna appare alla porta di un rudere di fronte ai pellegrini meravigliati, inginocchiati in preghiera e ritratti coi segni del popolo stanco e povero: l’incontro diviene rivelatore di una vicinanza estrema tra la dimensione delle cose divine e quella delle cose umane, appena separate da uno spazio incolmabile fra le mani dell’uomo ed il piede del Bambino offerto alla contemplazione.

La mancanza di contatto tra le figure, unite soltanto da un flusso metafisico, richiama il vuoto tra la mano vivificatrice di Dio e quella del primo uomo nella “Creazione di Adamo” della Cappella Sistina: Caravaggio (http://www.questidenari.com/?tag=caravaggio) rinnova la sfida al “grande stile” dell’esempio michelangiolesco parlando il linguaggio dei poveri.

La rappresentazione delle vesti lacere dei pellegrini e l’evidenza dei loro piedi sporchi, estranea alla concezione di decoro, determinarono il rifiuto iniziale dell’opera da parte dei sacerdoti dell’epoca che forse, nelle sembianze di Maria, riconobbero le fattezze di una donna nota in ambito ecclesiastico: Maddalena Antonietti, detta Lena, prostituta romana più volte notata in compagnia di Michelangelo Merisi. Ma il popolo che seppe vedersi raffigurato e valorizzato nella propria essenza di semplicità – e che fece “estremo schiamazzo” una volta a conoscenza del diniego, come riferito da Giovanni Baglione – persuase all’accettazione dell’olio su tela, quindi collocato nella Chiesa di Sant’Agostino in Roma dove rimarrà ininterrottamente sino ai giorni nostri.

Essendo stato commissionato (1603?) in esecuzione della volontà testamentaria del defunto marchese Ermete Cavalletti che, devoto alla Madonna di Loreto, fece acquistare la cappella della chiesa di Sant’Agostino molto frequentata dai pellegrini del tempo, il dipinto fu consegnato da Caravaggio il giorno 2 marzo dell’anno 1606.

(per la discussione sull’attribuzione a Caravaggio del ritrovato Sant’Agostino nello studio” si legga http://www.questidenari.com/?p=4524)

La Cena in Emmaus di Londra: la meraviglia dell’apparizione per Caravaggio

Se risulta di particolare interesse il raffronto tra il Cupido di Berlino (Amore vincitore) e quello dipinto a Malta (Amore dormiente), ulteriori riflessioni sorgono dal paragone tra la “cena in Emmaus” della National Gallery di Londra e lo stesso tema esposto nella tela della Pinacoteca di Brera (http://www.questidenari.com/?p=2274).

La discriminante tra la prima e la seconda opera, in entrambi i casi, è rappresentata dall’anno di produzione che aveva preceduto o seguito l’uccisione in duello di Ranuccio Tommasoni: segnato profondamente nell’animo dai fatti del 1606, Caravaggio caratterizzerà i successivi dipinti con i tratti dell’essenzialità e dell’afflizione, costretto come fu alla fuga perpetua che ne limiterà i tempi per l’esercizio a lui caro dei virtuosismi estetici.

Dipinta nel 1601, la prima versione della “cena in Emmaus” descrive l’attimo significativo del riconoscimento di Cristo risorto da parte dei pellegrini che, ignari, lo avevano incontrato per strada ed invitato a cenare con loro. “Nostro signore in fractione panis”, come annotò nei libri contabili Ciriaco Mattei per aver pagato al Maestro milanese la somma di 150 scudi, impartisce la benedizione in un ambiente spazioso e profondo, invaso da una luce che dà piena evidenza ai protagonisti.

La meraviglia dei presenti fa sobbalzare sulla sedia quello di sinistra, reso con eccezionale realismo, mentre quello di destra mima la croce. E altrettanto forte è lo stupore di chi vede apparire nel quadro la canestra di frutta, in bilico sull’orlo della tavola, colma di uve e fichi fuori stagione (dato che, notoriamente, questi frutti maturano alcuni mesi dopo il periodo pasquale). Assieme alla canestra compaiono sulla tavola il vino, forse simbolo del sangue di Cristo, ed il pollo con le zampe dritte e annerite, simbolo di morte.

In piedi, incuriosito ma inconsapevole, rimane l’oste, soggetto tra i primi rappresentati da Caravaggio (frequentatore assiduo di locande), qui capace di fornire ulteriore e chiara dimostrazione delle proprie capacità tecniche: l’ombra del taverniere fa da aureola al Cristo androgino, imberbe, non segnato dal martirio della crocifissione, che riporta Michelangelo Merisi a scegliere le soluzioni della pittura di figura tipiche del periodo giovanile.

Anche la “cena in Emmaus” della National Gallery di Londra può essere ammirata presso le Scuderie del Quirinale (http://www.questidenari.com/?tag=scuderie-quirinale).

San Giovanni Battista della Galleria Corsini: il Caravaggio inquietante

Occorrerebbero nuove fonti storiche per rafforzare la convinzione che il dipinto denominato “San Giovanni Battista”, conservato nella Galleria Corsini a Roma, raffiguri proprio il santo anziché tutt’altro soggetto.

Il quadro, in una qualunque sua parte, non riferisce esplicitamente al profeta, né Caravaggio intitolava le proprie opere; addirittura, la sua autenticità è stata in dubbio per molto tempo, e solo la presenza di analogie con altri dipinti di Michelangelo Merisi e, soprattutto, le ultime indagini radiografiche ne hanno consentito l’attribuzione.

La storia stessa dell’opera non aiuta ad effettuare ricostruzioni. Forse entrò a far parte della collezione attuale a seguito del matrimonio di Maria Vittoria Felice Barberini (celebrato nel 1758 con Bartolomeo Corsini): sua madre Cornelia Costanza, alla morte dello zio, iniziò ad amministrare il patrimonio di famiglia e, attraverso l’alienazione di molti beni, diede avvio alla dispersione della grande collezione Barberini.

Il nudo di fronte al quale ci troviamo, ancora una volta eseguito magistralmente e che certo ricalca quello di Kansas City (http://www.questidenari.com/?p=2297) per la postura inclinata del giovane, coi lineamenti coperti e l’espressione torbida, per il drappo rosso avvolgente come la natura intorno, e per la presenza del bastone su cui poggia la mano, suggerisce una forte sensazione di estraneità alla tematica sacra. Piuttosto, ritroviamo in quest’opera il consueto e provocatorio gusto di Caravaggio per il proibito, dato che non è difficile individuare nel modello prescelto i tipici caratteri del ragazzo di vita tra i tanti frequentati dal pittore.

Sul piano tecnico si ripete la ricerca della trasposizione del momento di vita vissuta, emozionante per la sua riuscita nell’esplorazione delle membra in movimento: il braccio sinistro, che non comunica la sensazione di stabilità di quello destro, disegna ombre leggibili sul corpo del giovane, definito con la consueta capacità narrativa ed ispirata sensualità, e rafforzato dal contrasto tra il biancore dell’incarnato e l’oscurità dello sfondo naturale.

Il S.Giovanni Battista della Galleria Corsini, databile attorno al 1602, può essere ammirato presso le Scuderie del Quirinale (http://www.questidenari.com/?tag=scuderie-quirinale).

I bari: la realtà colta nell’attimo significativo da Caravaggio

Tra i quadri più noti e celebrati della produzione iniziale di Caravaggio, quella precedente il periodo romano, “i bari” rappresenta una scena di genere ispirata dalle frequentazioni nelle taverne.

Un giovane ben vestito, immerso nel gioco ed ingenuo come il protagonista de “la buona ventura”, non si accorge che i personaggi intorno lo stanno imbrogliando: l’uno suggerisce e l’altro maneggia per estrarre le carte truccate.

Commissionato dal primo protettore di Caravaggio, il cardinale Del Monte, e poi, dopo molti passaggi di proprietà, venduto nel 1899 a seguito del crack della Banca Romana, smarrito e poi ancora ritrovato, il dipinto risalta per la sensibilità descrittiva con cui la bellezza, la gentilezza, la giovane età e l’eleganza dei protagonisti fanno da contrasto alla pochezza morale della scena narrata.

Anche se dal punto di vista tecnico l’opera rivela le lacune di un pittore autodidatta, “i bari” ci consente di apprendere il percorso evolutivo artistico di Michelangelo Merisi che, invece di cominciare dal disegno, iniziava a dipingere l’ambiente circostante e poi completava la rappresentazione costruendo i personaggi in primo piano. Per l’Artista, la ricerca dell’attimo cruciale non lascia spazio alla realtà ininfluente, come sta a dimostrare lo sfondo vuoto.

Anch’esso di attribuzione certa, “i bari” (1594 circa) del Kimbell Art Museum di Fort Worth (Texas) può essere ammirato presso le Scuderie del Quirinale (http://www.questidenari.com/?tag=scuderie-quirinale).

San Giovanni Battista: Caravaggio nel nuovo continente

Il San Giovanni Battista dipinto da Caravaggio nel 1601, nel periodo della maturità artistica caratterizzato dai chiaroscuri, non appare vestito ma è avvolto e valorizzato nella definizione corporea da un meraviglioso drappo rosso, emblema forte di una tecnica pittorica che fa uso limitato del contrastante colore verde.

Poco amato dall’Artista, il verde del fogliame fitto è qui reso secondo tonalità molto scure a fare da cornice al modello seminudo, forse ancora un ragazzo di vita fra quelli frequentati da Michelangelo Merisi. La luce proveniente dall’alto rende volutamente poco riconoscibili i lineamenti del giovane, in particolare gli occhi, e al tempo stesso conferisce alla rappresentazione del santo un’aria cupa e imbronciata che si accosta bene alla figura del profeta inascoltato e combattuto con sé stesso.

Il culmine del dipinto si raggiunge con la ricerca luministica dell’Artista nella zona centrale del quadro, dove il braccio sinistro getta un’ombra sul costato che, come già per altri dipinti, non è bruciante ma lascia intravedere le membra del santo.

Appartenuto inizialmente ad Ottavio Costa, banchiere pontificio in Roma e nobile committente e protettore di Caravaggio, il San Giovanni Battista è conservato a Kansas City presso The Nelson-Atkins Museum of Art: anch’esso di attribuzione certa, può essere ammirato presso le Scuderie del Quirinale (http://www.questidenari.com/?tag=scuderie-quirinale).

La Cena in Emmaus del 1606, anno di tragedia per Caravaggio

Oltre ad una rivalità sentimentale, forse un debito di gioco fu tra i motivi che costarono la vita al notaio Ranuccio Tomassoni, ferito mortalmente in duello da Michelangelo Merisi il 28 maggio 1606. Da quel giorno Caravaggio sarà costretto alla fuga perpetua che inizierà nelle campagne romane dei feudi appartenenti ai principi Colonna, dove troverà protezione e potrà continuare ad esprimere il suo smisurato talento artistico.

Con l’esecuzione della Cena in Emmaus della pinacoteca di Brera, avvenuta subito dopo l’assassinio di Campo Marzio in Roma, un’atmosfera dolente avvolge il gesto di Cristo forestiero intento a benedire, spezzare e condividere il pane tra i presenti nell’attimo di gioia contenuta per il riconoscimento del Risorto tra i suoi discepoli, e nello stesso momento quieto della sorpresa incosciente per l’oste e per la vecchia. Caravaggio ripropone il tema già descritto nella prima versione del 1596, ma lo sintetizza col carattere dell’essenzialità nella rappresentazione degli oggetti e delle persone.

Gli elementi scarni della natura morta rintracciabili nel pane e nei piatti che scavano ombre lunghe e drammatizzanti nel bianco della tavola, il vissuto sofferto che traspare dai volti popolani attorno al Cristo, barbuto e non più androgino, ed ancora il buio attorno alla scena di genere fanno apparire l’insieme della composizione solenne, pacato e carico di elevato significato interiore. In tutta la sua potenza espressiva, risalta la spiccata capacità del pittore di comunicare il proprio messaggio in maniera implicita o appena dichiarata, come rivela la percezione del divino nelle persone semplici espressa dal viso dell’uomo seduto accanto a Gesù.

Né gli ultimi ritrovati tecnologici – che hanno svelato un ripensamento di Caravaggio in merito all’eliminazione di una fonte di luce esterna e naturale proveniente da una finestra aperta su un paesaggio, sulla sinistra del dipinto proprio dove ora tutto appare scuro – possono togliere valore a quest’opera di attribuzione certa, attualmente in mostra presso le Scuderie del Quirinale (http://www.questidenari.com/?tag=scuderie-quirinale).