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Palazzo Rondinini in Via del Corso, l’arte del vissuto a Roma

Palazzo Rondinini, affacciato sulla nota via del Corso in Roma, può essere considerato l’esemplificazione architettonica del modo di vivere la quotidianità a contatto diretto con l’arte museale.

Sulla superficie proveniente dall’eredità del pittore Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino (http://www.questidenari.com/?tag=giuseppe-cesari), nel 1764 venne edificato il sontuoso palazzo per declamare il ritorno della nobile famiglia Rondinini ai benefici di un elevato grado sociale, status ritrovato dopo il superamento di alcune difficoltà di natura politica ed economica.

Gli arredi della dimora aristocratica, oggi di proprietà della banca Monte dei Paschi di Siena ed aperti al pubblico nel corso della tradizionale giornata “Invito a Palazzo 2010”, raccontano l’epoca di passaggio dallo stile rococò a quello neo-classicistico: progettati dall’architetto Alessandro Dori, ancora oggi gli ambienti interni rivelano l’originaria inclinazione dei proprietari a mescolare la quotidianità della loro esistenza al gusto dell’arte antica (fonte: L’Osservatore Romano).

Nonostante molti pezzi d’arte non siano più visibili perché rimossi nella seconda metà dell’800 dall’ultimo discendente Giuseppe Rondinini, le vedute architettoniche, gli stucchi e i dipinti, le colonne e le porte in legno degli ambienti lussuosi lasciano intuire come in passato le decorazioni potessero fondersi in un insieme unitario con gli antichi reperti, la cui presenza poteva anche essere motivata da operazioni di investimento. Tra le grandi stanze, sui soffitti e nei marmi dei pavimenti, si ripete più volte il motivo comune del volo delle rondini, stemma araldico familiare.

A completamento della ricchezza culturale, aggiungono fascino e mistero i dipinti di nobili sconosciuti raffigurati in ordine cronologico, come si può intuire dagli abiti indossati dai personaggi, disposti sulle pareti di una fornita biblioteca che ebbe anche funzione di alcova munita di passaggio segreto, a tutt’oggi funzionante.

Cappella e Archivio Storico del Monte di Pietà di Roma

La facoltà concessa ai banchieri privati di effettuare prestiti (http://www.questidenari.com/?p=654) determinò il diffondersi dell’usura, fenomeno che oppresse la popolazione costretta a pagare tassi d’interesse elevati.

In sostegno delle classi più umili, nel 1539 venne fondato il Monte di Pietà di Roma allo scopo di effettuare prestiti in denaro, concessi a fronte del pegno di oggetti: gli interessi da corrispondere furono inizialmente stabiliti nella misura del 5% a titolo di rimborso per le spese di gestione, poi ridotti al 3%, quindi si arrivò a stabilire la gratuità dell’erogazione relativa a prestiti su pegno fino all’importo massimo di 10 scudi, ed infine si innalzò detto importo al valore di 30 scudi.

Nel corso del ‘700 il Monte di Pietà giunse a rafforzare il proprio ruolo di istituzione finanziaria sino ad effettuare la gestione della Zecca (http://www.questidenari.com/?p=1031) dello Stato Pontificio, ma la successiva annessione al Regno d’Italia ne segnò la fine dell’esercizio delle attività di raccolta e gestione dei depositi.

Quello che oggi possiamo apprezzare di questa storico Istituto è racchiuso nella Cappella del Monte di Pietà, capolavoro del Barocco romano, e nell’attiguo Archivio Storico che l’Associazione Bancaria Italiana ha consentito di visitare durante la manifestazione “Invito a Palazzo” dello scorso sabato 3 ottobre 2009.

La Carità di Giuseppe Mazzuoli - Cappella del Monte di Pietà di RomaLa Cappella ci appare di folgorante bellezza per il luccichio dei rivestimenti completamente realizzati in marmo di diversa provenienza geografica – tunisina e asiatica – e caratterizzati dai colori rosso, verde e giallo, essendo quest’ultimo il marmo “da riuso”.

La policromia è completata dal bianco del marmo di Carrara con cui vennero create le 5 statue: ordinatamente, indicano la Fede e la Speranza che conducono alla Carità (rappresentata da una donna che allatta un bimbo e ne sorregge un altro, mentre un terzo si attacca alla sua veste), quindi all’Elemosina (interpretata come una donna che porge con la mano destra una moneta ad un bimbo, e con la sinistra tiene la borsa) ed infine alla Pietà di Domenico Guidi del 1676 (in cui compaiono il Cristo morto, la Vergine Addolorata, la Maddalena e Giuseppe d’Arimatea). Quella stessa pietà, il più nobile fra i sentimenti cristiani, che prima spinse l’Ordine Francescano a promuovere e poi Paolo III ad originare l’istituzione del Monte con l’emanazione di una bolla papale.La Pietà di Domenico Guidi e L'Elemosina di Bernardino Cametti - Cappella del Monte di Pietà di Roma

I fondi archivistici del Monte, inoltre, ci hanno lasciato una ricca documentazione inerente la moneta cartacea (http://www.questidenari.com/?p=630), come le cedole in scudi romani di vario importo. L’emissione di cedole, all’epoca dello Stato Pontificio, proseguì talmente sostanziosa che determinò la perdita di valore delle stesse a partire da quando non fu più possibile realizzare la conversione della moneta di carta in circolante di metallo.

(per l’edizione 2010 di “Invito a Palazzo” si legga: visita a Palazzo Rondinini di via del Corso in Roma http://www.questidenari.com/?p=3130)

Cedola da 7 Scudi Romani (1797) - Monte di Pietà di RomaCedola da 24 Scudi Romani (1796) - Monte di Pietà di Roma

La sede ABI di Palazzo Altieri

Nell’ottobre di due anni fa, in occasione della giornata d’apertura al pubblico delle sedi storiche delle banche denominata “Invito a palazzo”, promossa dall’ABI in tutta Italia, decisi di recarmi a Roma per visitare uno dei monumenti architettonici più insigni del tardo Barocco.La Clemenza Altieri: affresco

Inutile nascondervi che l’appagamento della mia sete artistica, nell’occasione, troppo bene si sposava con la curiosità di cose finanziarie evocata dal solo acronimo dell’Associazione Bancaria Italiana.

A pochi passi da Piazza del Gesù, ecco dischiudersi una serie impressionante di dipinti, colonne in porfido, stucchi, cassettoni in legno, arazzi, lampadari di cristallo, statue, pavimenti in parquet, portacandele in cineseria, specchiature delle porte in alabastro, basamenti in onice bianco, decorazioni dorate e in bronzo, e tante altre meraviglie che non possono non far pensare alle difficoltà incontrate nella stima economica dei beni oggetto di vendita e restauro, come pure all’estrema diversità di condizione sociale vissuta dalle popolazioni di epoche passate.

Tuttavia, la storia più recente di palazzo Altieri, descritta nel sito www.abi.it, ci parla di un’operazione di grande responsabilità da parte dell’associazione che ha voluto acquistare dagli eredi della nobile famiglia romana non solo la maggior parte dei locali dell’immobile che occupa attualmente, ma pure gli arredi interni al fine di preservare l’unicità dell’opera attraverso un’iniziativa di valorizzazione del bene storico-artistico nel suo insieme.

Diversamente, avremmo assistito alla dispersione di molti oggetti significativi del nostro patrimonio fra antiquari e storici dell’arte, e al conseguente snaturamento del singolo oggetto e inevitabile impoverimento della stessa dimora che lo conservava.

marmo cipollino water_editedNon avremmo così potuto godere della maestria con cui il marmo cipollino di provenienza orientale è stato levigato e incastonato in questo camino, o non avremmo potuto apprezzare l’armonia cromatica dei pavimenti in legno e delle porte che separano le enormi stanze della dimora seicentesca, per l’assegnazione ereditaria della quale gli Altieri arrivarono a stabilire vincoli di sangue ben precisi tra famiglie nobiliari.

parquetE chissà, magari neanche al vostro Autore sarebbe mai venuto in mente di percorrere questo sentiero artistico (a tinte finanziarie) che lo ha portato ad imprimere nella propria memoria, nonché in quella digitale, le bellezze di un pezzo pregiato del nostro patrimonio storico e culturale.specchiato-in-sala-rossa-riunioni-abi