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NO al nucleare. Qualche perché

Il genere umano, tanto intelligente da arrivare a realizzare la scissione del nucleo dell’atomo e a comprendere il principio della fusione (quella del sole, il c.d. nucleare pulito sfruttabile su vasta scala solo nel secolo prossimo!) ha bisogno di assistere ad eventi catastrofici per capire di essere ancora una nullità al cospetto della natura.

La lezione di Chernobyl dell’86, col suo carico di morti e deformati, evidentemente non era bastata a far comprendere la portata sociale, culturale ed economica della scelta nucleare. I preparatissimi Giapponesi, avvezzi a fronteggiare eventi sismici ed onde anomale al punto da attirare per decenni l’ammirazione e l’invidia di tutto il mondo, adesso ci impietosiscono con il loro autocontrollo perduto, coi loro occhi impauriti che bagnano di lacrime le mascherine bianche.

Ma se le centrali di prima generazione non potevano essere adeguate agli attuali standard di sicurezza – ed il collasso dei sistemi di raffreddamento di Fukushima ne fornisce piena evidenza – è naturale chiedersi fino a che punto occorre “alzare l’asticella” per tutelarsi in caso di incidente dalla contaminazione dell’aria, a causa delle nubi radioattive trasportate dai venti, e dalla contaminazione della terra attraverso le falde acquifere. Almeno per il cesio disperso a seguito della fusione del nocciolo, i tecnici ricordano che devono trascorrere 300 anni perché si esaurisca la sua carica radioattiva nei terreni circostanti il raggio di 250 kilometri (Corriere.it).

Dunque: se l’evidenza empirica ci fa registrare eventi sismici di magnitudo prossima a 9 della scala Richter (30mila volte più forte della scossa in Abruzzo), è opportuno costruire centrali che sopportino un simile impatto se poi si verifica un terremoto ancora più intenso?

E’ il caso che l’uomo continui a rincorrere la natura senza sapere fino a dove, o piuttosto prenda atto di aver giocato un confronto impari e cerchi soluzioni di energia alternativa rinnovabile meno traumatiche per gli equilibri del creato?

Purtroppo non è soltanto in dubbio la soluzione della fissione nucleare come scelta “sicura” sul piano tecnico-operativo, decisione su cui la stragrande maggioranza della popolazione non saprebbe esprimersi; in aggiunta, e forse qui sta il peggio, si pone un enorme interrogativo sulla gestione politica del nucleare.

In altri termini, il pensiero dominante fra coloro che commentano i fatti di cronaca sui quotidiani in rete – almeno qui in Italia – riferisce che la gente non si fida del modo in cui la classe politica gestisce le centrali dismesse da oltre venti anni (per scelta referendaria) ed il loro carico di scorie radioattive.

La centrale di Borgo Sabotino a Latina potrebbe costituire valido esempio: dall’anno di spegnimento 1987, nel reattore sono ancora presenti 2.000 tonnellate di grafite altamente radioattiva che – secondo l’ultimo piano di decommissioning – saranno smaltite nel 2040 quando l’intera area sarà bonificata. Con tutti i rischi connessi alla salute degli operatori e della vicinissima popolazione, che oltretutto si ritrova il costo della dismissione alla voce A2 della propria bolletta energetica (fonte originaria: Latina Oggi del 9 gennaio 2011).

E senza dubbio in molti hanno riflettuto sulle scelte politiche contraddittorie degli ultimi mesi: prima gli incentivi per l’energia alternativa, poi un decreto per fermare lo sviluppo delle energie rinnovabili in Italia, ora la “pausa di riflessione” annunciata dal ministro Paolo Romani per non cadere preda dell’emotività sull’ipotesi di nuove centrali nucleari in Italia, in concomitanza con le intenzioni di approfondimento della questione provenienti dai leader di ogni parte del mondo.

Ma anche “a freddo” il dibattito sul bilancio degli oneri e dei benefici è apertissimo, con una contabilità in continuo aggiornamento sull’energia nucleare attualmente più costosa di qualunque altra fonte energetica (IlMessaggero.it) e su centrali che inizierebbero a funzionare tra decenni: un periodo di tempo troppo lungo che dovremmo piuttosto utilizzare per concentrare gli sforzi sull’efficientamento delle rinnovabili, derivanti soprattutto dal sole e dal vento.

L’Italia non difetta certo di luce e la sua storia recente, quella di un territorio ad alto rischio idro-geologico, racconta che abbiamo serie difficoltà a metterci in sicurezza contro alluvioni e terremoti che devastano centri storici, fiumi che straripano e frane che travolgono furgoni sull’autostrada provocando morti e feriti: dormiremmo sonni tranquilli sul cuscino del nucleare?

La successione (parte II) – Imposte ed esempi di dichiarazione

Per i beni materiali (fabbricati, terreni) caduti in successione, l’amministrazione finanziaria richiede un versamento di tributi che colpiscono per il 2% quale imposta ipotecaria, l’1% quale imposta catastale, in misura fissa per euro 35,00 per ogni conservatoria provinciale nella quale il de cuius era proprietario di immobili e per euro 58,48 quale imposta di bollo sempre per ogni conservatoria, per euro 18,59 per tributi speciali.

Per quanto concerne l’importo dovuto sia per l’imposta ipotecaria che catastale, bisogna provvedere alla rivalutazione dei beni, sia che si tratti di immobili civili, sia categorie particolari, sia terreni.

Gli immobili civili (cat. A2, A3, A4 etc.) debbono essere rivalutati per il coefficiente 105; gli immobili categorie C1 ed E devono essere rivalutati per il coefficiente 34, e gli immobili categorie A10 e D devono essere rivalutati per il coefficiente 50. Si ricorda che la rendita catastale, prima di essere rivalutata, deve essere moltiplicata per il numero fisso 5%.

Un’eccezione si verifica nel caso in cui l’erede abbia la sua residenza presso l’abitazione del de cuius. In questo caso l’importo da pagare, sia come imposta ipotecaria che catastale, è fisso ed ammonta per tutte e due le voci ad euro 168,00, fermi restando gli importi dovuti per le conservatorie.

L’imposta minima da versare, sia ipotecaria che catastale, ammonta ad euro 168,00.

Prima di effettuare il calcolo delle imposte da versare si deve tener conto della quota di possesso del bene che può non essere di totale proprietà del de cuius: infatti gli importi cambiano nel caso in cui il coniuge o i figli siano cointestatari del bene. A titolo esemplificativo, si rimanda al documento allegato (successioni: esempi).

Nel quadro B4 (è possibile scaricare il modulo “dichiarazione di successione” dalla parte I http://www.questidenari.com/?p=1902) vanno riportate le liquidità depositate presso gli istituti di credito. In mancanza di detti importi trascritti sul quadro, l’istituto può rifiutarsi di consegnare agli eredi le somme depositate dal de cuius. Dette somme debbono essere riportate e certificate con il saldo del conto alla data del decesso ed allegate alla dichiarazione.

E’ fondamentale ricordarsi di presentare all’ufficio territoriale del catasto (entro 30 giorni dalla presentazione presso l’agenzia delle entrate della dichiarazione di successione) la domanda di voltura dei cespiti iscritti nella successione, pena la sanzione per la ritardata presentazione. Alla data odierna il catasto fabbricati e terreni non è probatorio ma è in fase di ultimazione il trasferimento agli enti locali di detto compito: quindi, avere aggiornati gli assetti proprietari sarà molto importante per poter definire le compravendite di immobili.

Esempio pratico di una dichiarazione di successione:

–        de cuius: Mario Rossi

–        coniuge: Maria Bianchi

–        figli: Rossi Angelo, Rossi Antonella

–        decesso senza testamento, quindi successione dovuta per legge

–        beni caduti in successione: abitazione di famiglia + pertinenza (garage); immobile acquistato al 50% dai coniugi (cointestato); depositi su c/c cointestato: € 20.000,00

–        rendita catastale dell’immobile: € 375,00; rendita catastale del garage: € 43,00 – non rivalutati.

In questo caso l’importo da versare è di euro 168,00 per l’imposta ipotecaria ed euro 168,00 per l’imposta catastale, più euro 35,00 per la conservatoria ed euro 58,48 per l’imposta di bollo, ed euro 18,59 per i tributi speciali.

Nel caso in cui l’abitazione non fosse stata residenza principale della famiglia (casa a disposizione), si sarebbe dovuto calcolare la rendita e dividere l’importo al 50% visto che la quota del coniuge non cade in successione. Il conteggio da effettuarsi è il seguente:

rendita catastale euro 375 x 5% x 110 = 43.312,50, da dividere per 2: € 21.656,25 (immobile A2)

rendita catastale euro 43 x 5% x 110 : 2 = 4.966,50 : 2 = € 2.483,25 (immobile C2)

IMPOSTA DOVUTA

imposta ipotecaria ( 2%): 21.656,25 + 2.483,25 = 24.139,50 x 2 : 100 = € 482,79

imposta catastale (1%): 21.656,25 + 2.483,25 = 24.139,50 x 1 : 100 = € 241,395

Le imposte vanno versate col modello F23:

imposta ipotecaria con codice tributo 649T (euro 482,79)

imposta catastale con codice tributo 737T (euro 241,39)

imposta ipotecaria con codice tributo 778T per ogni conservatoria (euro 35,00)

imposta di bollo con codice tributo 456T (euro 58,48)

imposta tributi speciali con codice tributo 964T (euro 18,59).

La dichiarazione è completa per la presentazione in 3 copie.

SCARICA L’ELENCO DEI DOCUMENTI PER LA SUCCESSIONE (formato jpg)

SCARICA LE ISTRUZIONI PER LA PRESENTAZIONE DELLA DICHIARAZIONE DI SUCCESSIONE (formato jpg)

SCARICA GLI ESEMPI PER LE SUCCESSIONI (formato jpg)

(per il rimborso delle imposte intestato a persona deceduta: “Imposte non dovute o pagate in eccedenza: rimborsi a favore del successore o del rappresentante”)