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Ragazzo morso da un ramarro: il Caravaggio ingannevole della Fondazione Longhi

Il rapido successo delle opere di Caravaggio ebbe come diretta conseguenza la riproduzione in più esemplari di uno stesso dipinto al fine di realizzare diverse vendite ad altrettanti clienti. Il fenomeno della duplicazione, tuttavia, pone ancora oggi il quesito sull’autenticità dell’opera che potrebbe essere stata eseguita dal Maestro come da uno o più dei suoi allievi.

Nella versione appartenente alla Fondazione Longhi del “ragazzo morso da un ramarro”, caratteri energici ed irritati sostengono la raffigurazione di un giovane intento a prendere un frutto, col risultato di provare dolore e spavento per un morso. Vi si trovano le consuete peculiarità della mancanza di uno sfondo, dell’azione sorpresa nell’attimo significativo, della natura morta.

L’evidente simbologia sulle illusioni della giovinezza, e la potenza espressiva utilizzata, iniziano a confliggere con la sensualità molle dei primi dipinti (evidente nel “giovane con canestra di frutta” http://www.questidenari.com/?tag=mario-minniti); il simbolismo riporta anche all’amore, rappresentato dalla rosa semi-appassita all’orecchio del giovane e da quella fresca nella caraffa, e forse alla sessualità rintracciabile nella morsicatura della lucertola, e quindi all’ammonimento del piacere.

Sul piano tecnico, il culmine del dipinto è senza dubbio la boccia trasparente in cui sono immersi i gambi dei fiori, esemplare per la rifrazione della luce proiettata sul tavolo e per la riflessione della luce proveniente dalla finestra, in un capolavoro di illusione ottica naturalistica.

Dipinto attorno al 1595, il “fanciullo morso da un ramarro” può essere ammirato a Firenze dal 22 maggio al 17 ottobre 2010 presso la mostra “Caravaggio e la modernità. I dipinti della Fondazione Roberto Longhi” a Villa Bardini.

Non solo denari: la comunità monastica di Camaldoli

Non sempre la ricchezza ed i beni materiali sono ricercati dalle persone.

La storia del genere umano è attraversata pure da momenti in cui i criteri guida, veicolati da illustri personalità, hanno condotto a vivere un’esistenza povera ed evangelica, come intesero fare alcuni monaci fra cui San Romualdo.

Lo vedete qui, primo da destra, ritrattato in una delle toccanti opere in terracotta che Andrea della Robbia ci ha lasciato nel Sacro Eremo di Camaldoli.Andrea Della Robbia: Madonna con Bambino e Santi - Sacro Eremo di Camaldoli (Ar)

Il Santo, attraverso la rinuncia a qualsiasi beneficio e la povertà nei vestiti e nel cibo, volle fondare un ordine religioso (1012) che, pur inserito nella tradizione dei monaci benedettini, si richiamasse ad uno spirito di maggiore austerità ed offrisse assistenza ai poveri.

La gente che visita quei luoghi a tutt’oggi abitati, probabilmente, non compie soltanto un iter di pellegrinaggio: è anche spinta dalla curiosità suscitata da un mondo accessibile fisicamente (sia pur con difficoltà) ma governato da idee piuttosto distanti dal comune modo di pensare.Sacro Eremo di Camaldoli (Ar)

Forse è per questo che, pochi chilometri più a valle, l’antica farmacia del Monastero di Camaldoli conserva la vera attrazione dei frequentatori-acquirenti. All’interno di una teca in vetro si trova lo scheletro di una giovane donna, rinvenuto nel sedicesimo secolo: la scritta soprastante ammonisce il “folle” osservatore che quello è l’unico specchio per guardarsi e scoprire la propria identità. Tutti gli altri specchi non riflettono il vero.