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La paga dei minatori e la legge del West per John Heath

Forse per il magro bottino di cui si appropriarono, ben al di sotto delle loro attese basate sull’informazione che circa 7.000 dollari sarebbero stati distribuiti ai minatori locali a titolo di paga, tre dei cinque fuorilegge entrati nel General Store di Bisbee la mattina dell’8 dicembre 1883 aprirono il fuoco visibilmente alterati sui clienti del negozio e sui passanti in strada, incontrati al momento della loro fuga.

revolver west brandizzato_editedPochi attimi dopo, al dissolversi della polvere alzata dai cavalli, rimasero a terra i corpi di quattro persone, fra cui una donna incinta ed il vice-sceriffo che era prontamente accorso al fragore dei primi spari.

Quello che sarà ricordato come il “Bisbee massacre” – avvenuto nella città mineraria distante 20 miglia a sud di Tombstone in Arizona, uno dei luoghi più violenti e malfamati che la storia del West ricordi – originò un’accesa caccia all’uomo conclusasi con la cattura dei cinque malviventi.

Ma prima che la giustizia potesse avere il suo corso attraverso l’impiccagione legale della banda, accadde un evento che rimarrà unico nelle cronache locali.

Lo sceriffo di Tombstone, attivatosi per rintracciare i fuggiaschi, accusò il proprietario del saloon di Besbee, un tale John Heath, di averlo depistato fornendogli indicazioni sbagliate al momento dell’inseguimento della gang.

Più tardi, le ammissioni dello stesso Heath che confesserà di aver pianificato l’atto criminoso ma di non aver previsto in alcun modo l’uso delle armi da fuoco da parte degli esecutori materiali, lo porteranno ad essere condannato ai lavori forzati nel penitenziario di Yuma.

L’indignazione e la rabbia dei cittadini fu enorme: intervennero i vigilantes, uomini incappucciati che, compiendo atti di giustizia sommaria, avevano la pretesa di sostituirsi alle inefficienze dei tribunali di quei tempi.

John Heath, contro la volontà dello sceriffo, venne prelevato a forza dalla cella di Tombstone ed impiccato al palo del telegrafo – la successiva verifica del medico legale appurerà che il decesso non avvenne per la rottura immediata dell’osso del collo come normale conseguenza di quel tipo di esecuzione, ma per un lento e ancor più crudele strangolamento.

La conquista del West vide protagoniste collettività, anche molto eterogenee al loro interno, spinte dalla necessità di evolvere il loro status sociale ed economico. Come a Bisbee, l’occasione favorevole poteva essere rappresentata dalla scoperta di un giacimento minerario, e la rapidità con cui le persone si spostavano sul territorio, costruivano baracche, stalle ed esercizi commerciali, organizzavano ristoranti, alberghi e sale da gioco, realizzavano traffici di merce ed allacciavano relazioni sociali si rivelava spesso risolutrice delle loro difficoltà esistenziali.

Naturalmente, questa crescita demografica disordinata alla conquista di terre vergini vide nascere e morire intere comunità nell’arco di pochi anni, talvolta mesi, e portò con sé inevitabili conseguenze negative come un alto tasso delinquenziale ed evidenti difficoltà di mantenimento dell’ordine legale.

Gli stessi sceriffi, remunerati con una paga non elevata ed aiutati dal solo vice, o in qualche caso da un limitato numero di volontari cow-boys abituati a domare le mandrie più che a maneggiare le colt, non sempre videro di cattivo occhio la formazione di gruppi organizzati di giustizieri “fai-da-te” in grado di ripulire gli agglomerati urbani dai pistoleri più pericolosi.

Anche questo confine molto labile tra giustizia e delinquenza nelle terre dell’Ovest contribuì a rendere brutale il vecchio e lontano West.

Dead or alive – 5.000 dollari per Apache Kid

E’ una di quelle storie crude, da Far West, ed è persino giusto che l’epilogo sia avvolto dal mistero sulla fine del protagonista.

Le fonti ufficiali, rintracciabili negli archivi d’annata della stampa Usa, non sembrano neppure essere state troppo intenzionate a fare chiarezza sulla sorte di Apache Kid, eroe anomalo della frontiera americana, quando i bianchi erano i buoni e gli indiani personificavano i cattivi.

Eppure quell’indiano d’America, giudicato “intelligente sopra la norma” nonostante non sapesse leggere né scrivere, capace di conquistarsi prima la fiducia dei colonizzatori di fine ‘800, e poi il loro riconoscimento sociale ed economico attraverso la paga che gli veniva dai galloni di sergente, era tornato molto utile al Governo stelle e strisce intenzionato a sedare prima possibile le rivolte dei pellerossa del Sud a cui le terre assolate, le numerose mandrie ed i pascoli sconfinati venivano sottratti giorno dopo giorno.

The Apache KidApache Kid, nato nel 1860 in Arizona, divenne scout indiano, ovvero guida dell’esercito federale e mediatore tra l’avanzata inarrestabile dei tanti e ben armati conquistatori di terre, bestiame e giacimenti di preziosi, e le inadeguate resistenze indiane: il suo ruolo fu apprezzato, fors’anche guardato con sospetto da chi intendeva tornare a relegarlo nel suo status di “selvaggio incorreggibile”, fin quando i processi a carico del suo gruppo di warriors, poco inclini ad adattarsi alla legge dell’uomo bianco, terminarono con sentenze eccessivamente punitive al fine di lanciare un messaggio forte a tutte le tribù della zona. Il Kid venne spinto a realizzare la sua sanguinosa e rocambolesca fuga.

Come ovvio, l’atto di ribellione ne segnò definitivamente il destino, e la letteratura – ivi compresa quella fumettara più aulica – ci parla di un nativo che scelse di vivere pochi ultimi giorni da uomo libero piuttosto che patire molti anni a spaccare pietre nell’inferno rovente di Yuma.

Le taglie “vivo o morto” poste sulla testa dell’inafferrabile Kid, “the apache renegade”, iniziarono a moltiplicarsi, partendo da 500 dollari fino ad arrivare a 5.000, dalle contee dell’Arizona a quelle del New Mexico, per poi varcare i confini del Messico ed attirare inutilmente l’attenzione del famoso Kosterlitzki, un immigrato russo e colonnello disertore dell’esercito americano che, a capo di una cinquantina di mercenari, rappresentò un temibile bounty killer dell’epoca.

Qui inizia la leggenda: il Kid sarebbe stato ucciso presso i monti San Mateo dai cowboys che si erano uniti ad un allevatore del New Mexico, un tale Charlie Anderson cui erano stati rubati i cavalli ma che poi non si dirà più sicuro dell’identità dell’indiano morto. O i fratelli James avrebbero radunato un gruppo di persone per uccidere l’apache, mutilarlo ed inviarne la testa ad un istituto scientifico presso l’università di Yale. O nel corso del primo decennio del ventesimo secolo, sarebbero state registrate nuove scorrerie cruente presso i ranch dei coloni locali, attribuite sempre all’apache e alla sua banda.

The New York Times, stralcio del 23 novembre 1900

Una leggenda che, come potete leggere dallo stralcio del New York Times stampato il 23 novembre del 1900, contrasta con la versione ufficiale, per quanto anche la stessa riferisca di un riconoscimento soltanto successivo al decesso del guerriero pellerossa, “in apparenza il capo degli indiani in ritirata”.

Comunque sia andata, Apache Kid rimane la personificazione di un uomo che, pur essendo parte integrante della comunità dei bianchi, si mantenne coerente ai principi che gli venivano dalle sue radici; mentre coloro che si avvalsero del suo operato per conquistare le ricchezze naturali del west furono gli stessi che, in nome di quelle ricchezze, lo obbligarono a divenire un ribelle sanguinario da catturare per denaro, vivo o morto.