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Sacrificio di Isacco degli Uffizi: violenza e meditazione per Caravaggio

Se la scena rappresentata nel “Sacrificio di Isacco” ripropone il gusto dell’orrido con cui Caravaggio stupiva i suoi estimatori ed attirava lucrose committenze, rendendo qui il senso di terrore ben visibile nell’espressione degli occhi e della bocca del giovane modello, tuttavia il quadro può considerarsi commovente e delicato nel suo punto cruciale e discrimine fra bene e male.

Il gesto dell’angelo, che in maniera definita “leonardesca” ferma la mano di Abramo l’attimo prima dell’uccisione del figlio ed indica la direzione della fede nel montone sacrificale, fa del dipinto un’opera meditativa.

La profondità e la modernità del paesaggio aggiungono bellezza e luminosità ad una pittura altamente pregevole sul piano compositivo e straordinariamente globale, e non più pittura di sola figura. La soluzione scelta dell’ambiente di collina è inusuale per Michelangelo Merisi che non amava riempire lo spazio dello sfondo (http://www.questidenari.com/?tag=spazi-vuoti); il Maestro, piuttosto, preferiva comportarsi come un fotografo ante litteram e sfocare sino all’oblio quanto stava dietro al soggetto ritrattato.

Annotazioni contabili fanno ritenere il dipinto commissionato da monsignor Maffeo Barberini, che salirà al soglio pontificio molto più tardi col nome di Clemente VIII: il “sacrificio di Isacco” (1598?) appartenente alla Galleria degli Uffizi (Firenze) può essere ammirato durante la mostra “Caravaggio e caravaggeschi a Firenze” fino al 17 ottobre 2010.

Giuditta e Oloferne: Caravaggio e la pittura raccapricciante

La decapitazione della bellissima e giovanissima Beatrice Cenci, avvenuta nella Roma della controriforma per punire il reato di parricìdio e al tempo stesso per far entrare nelle casse ecclesiastiche il ricco patrimonio della nobile famiglia capitolina, fornì spunto a Michelangelo Merisi (che forse assistette all’esecuzione dell’11 settembre 1599) per innovare sostanzialmente, ed in maniera duratura, la propria opera.

Il quadro introduce la rappresentazione dell’orrido nella pittura: per la prima volta, dopo che per secoli gli artisti si erano prodigati ad idealizzare i volti ed ignorare il culmine della tragedia, Caravaggio si impegna a penetrare e trasporre la bruttezza, l’orrore ed il raccapriccio che deriva da un’azione di violenza estrema.

Ne sono testimonianza le fattezze della serva sulla destra, che accentuano le storture e le rugosità tipiche della vecchiaia, i lineamenti deformati di Oloferne al momento di essere straziato dalla spada, e la reazione di ripugnanza espressa da Giuditta, impressionata dal suo stesso gesto. L’ebrea Giuditta, introdottasi nell’accampamento militare nemico per avere salva la vita, uccide il comandante Oloferne, suo carnefice e minaccia per la sua gente, dopo aver simulato un atteggiamento di accondiscendenza.

A conferire teatralità alla rappresentazione scenica, sta per calare un drappo rosso, “sipario” presente in diverse opere di Caravaggio.

Anch’esso di attribuzione certa, “Giuditta che taglia la testa a Oloferne”, appartenente alla Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini in Roma e collocabile nell’ultimo quinquennio del cinquecento, può essere ammirato presso le Scuderie del Quirinale (http://www.questidenari.com/?tag=scuderie-quirinale).