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Banco Popolare: bilancio 2010 in utile e dividendo al 23 maggio 2011

Utile netto consolidato per 308 milioni di euro e dividendo che sarà proposto all’assemblea il prossimo 30 aprile a 0,03 euro per azione con cedola staccata al 23 maggio 2011 e in pagamento il 26/05/2011. Il bilancio del gruppo bancario Banco Popolare chiude l’esercizio 2010 con l’utile in aumento del 15,3% rispetto al precedente (con cui non è immediatamente confrontabile: sub), mentre il dividendo risulta in calo a confronto con gli 8 centesimi dello scorso anno – prima dell’aumento di capitale per 2 miliardi di euro.

Tra le poste straordinarie o non ricorrenti che hanno influenzato il risultato (http://www.questidenari.com/?tag=risultati-31-dicembre-2010) si trovano i quasi 286 milioni di euro di crediti per imposte anticipate dell’ex gruppo Italease, ma anche gli effetti del contenzioso fiscale sullo stesso gruppo per oltre 165 milioni come pure le minusvalenze su titoli governativi per oltre 105 milioni dovute alle tensioni sui mercati internazionali. Senza detti apporti – positivi e negativi – l’utile si riduce a 255,5 milioni di euro.

Dopo la restituzione dei Tremonti bond, il Core Tier 1 si trova ora attorno al 6,5%.

Come si legge da comunicato stampa, a fine 2010 la raccolta diretta ha raggiunto i 104,5 miliardi (+0,3% rispetto al dato reso omogeneo a fine 2009), mentre la raccolta indiretta si è fermata a 76,2 miliardi (-0,9%).

Riguardo alle grandezze del conto economico al 31 dicembre 2010 ed escluso il contributo di Italease, il margine di interesse ammontava a 1.795,1 milioni di euro (-6,3%) ed il margine finanziario era pari a 1.838,2 milioni (-8,9%).

Previsioni Euribor fino a dicembre 2016. I tassi Irs per i mutui a inizio 2011

Raddoppia il capitale sociale della Bce passando a 10,76 miliardi di euro grazie ai contributi dei “bracci operativi” dell’Eurozona, fra cui Banca d’Italia, e di altri istituiti extra-europei.

La decisione si è resa necessaria a seguito dell’evoluzione (sgradita) della Banca centrale verso l’istituto della “bad bank”. Le mutate condizioni di rischio (di credito, principalmente), generate dall’assorbimento in portafoglio di titoli soggetti a svalutazione, sono conseguenza della politica di acquisto dei titoli del debito pubblico ellenico, irlandese etc. adottata per parecchi milioni di euro e finalizzata a prevenire ulteriori crisi degli Stati sovrani – nei numeri, 1.1 miliardi di euro spesi solo nell’ultima settimana per i bond portoghesi e irlandesi.

Al tempo stesso, la novità fotografa fedelmente le tensioni sui mercati dei titoli di Stato anche nel torpore degli scambi natalizi: sul secondario al 30 dicembre 2010, subito dopo l’asta del Tesoro, i nostri Btp (http://www.questidenari.com/?tag=btp-10-anni) tornano sopra l’1,8% in termini di differenziale di rendimento col benchmark tedesco, ed il decennale greco raggiunge col 12,553% il nuovo massimo dalla nascita dell’Eurozona (fonte: Radiocor), persino sopra i livelli della crisi primaverile.

Con le parole di Trichet, forse dettate più dalle pressioni di Roma, Madrid e Lisbona che dalle paure di una ripresa economica dell’area Euro incerta per quanto caratterizzata da una dinamica di fondo positiva, si preannunciano nuovi acquisti di titoli di Stato e ulteriori aste a tasso fisso e liquidità illimitata per i primi mesi del 2011 (fonte: IlSole24Ore.com), nonostante le intenzioni di normalizzazione della politica monetaria precedenti la crisi irlandese.

Almeno i tassi di riferimento sono sempre gli stessi anche nella riunione di dicembre: dal maggio 2009 rimane al minimo dell’1% il costo del denaro, resta all’1,75% il tasso sulle operazioni di rifinanziamento marginali, e rimane pure allo 0,25% il tasso che la Bce riconosce sui depositi delle banche commerciali. E tali dovrebbero rimanere nel 2011, anche se i gestori interpellati da Morningstar (fonte) si dividono tra coloro che attribuiscono importanza alla debolezza della ripresa e al rischio sul debito sovrano, e coloro che ritengono detti problemi destinati a riguardare pochi Paesi periferici.

Perciò nuovamente, e chissà ancora per quanto tempo, sarà necessario fare i conti con l’imprevedibilità del tasso Irs parametrato ai rendimenti dei bond governativi, collegati a dinamiche di prezzo su cui incombe la componente esogena degli acquisti dell’istituto centrale europeo.

Almeno sul tratto iniziale della curva dei rendimenti, potrebbe essere utile considerare – a fini previsionali – la riduzione delle emissioni di titoli governativi a breve e brevissima scadenza, usati tra il 2008 ed il 2009 da Olanda, Francia e Germania per tamponare la crisi ed ora non più necessari. L’effetto finale sarebbe la diminuzione dei rendimenti dei relativi titoli di Stato.

Nel frattempo sembra prendere piede la preannunciata correzione tecnica (http://www.questidenari.com/?tag=correzione-tecnica) al ribasso dei rendimenti obbligazionari per le durate più lunghe che sortisce effetto sulla curva degli Eurirs, causandone una “limatura” degli ultimi giorni dopo la brusca tendenza all’aumento registrata fino alla prima metà di dicembre (dati IRS al 30/12/2010):

–          10 anni: 3,35% (3,03% a novembre)

–          15 anni: 3,68% (3,36% a novembre)

–          20 anni: 3,74% (3,41% a novembre)

–          25 anni: 3,66% (3,35% a novembre)

–          30 anni: 3,55% (3,24% a novembre).

Sul fronte tassi variabili, allo stesso modo, negli ultimi giorni si assiste a tendenze al ribasso sia sul mercato degli Euribor, ormai stabile attorno al riferimento fissato dalla Bce, che nelle contrattazioni degli operatori sui derivati.

I tassi interbancari Euribor chiudono l’anno a quota 1,006% sulla scadenza trimestrale e 1,227% su quella a 6 mesi. In particolare, il grafico dell’Euribor 3 mesi dimostra che durante il 2010 gli scossoni maggiori sono avvenuti a seguito degli interventi di assorbimento della liquidità in eccesso (1° luglio e 30 settembre) decisi dalla Bce come strategia di uscita dalla situazione eccezionale di crisi:

La retromarcia dichiarata ora riguardo alle aste di rifinanziamento (supra) condiziona le contrattazioni degli operatori: a fine dicembre 2010, i tassi impliciti nei future Euribor 3 mesi sono al ribasso sul Liffe londinese (fra parentesi i corrispettivi al 19 novembre scorso):

Marzo 2011: 1,03% (1,25%)

Giugno 2011: 1,11% (1,375%)

Marzo 2012: 1,475%

Giugno 2012: 1,645% (1,875%)

Settembre 2014: 3,21%

Dicembre 2015: 3,685%

Dicembre 2016: 3,945%.

Nonostante il ritorno alle preferenze per i mutui a tasso fisso sulla casa manifestatesi negli ultimi tempi, i dati sui fixing Euribor ed Irs indicherebbero congiuntamente ulteriori possibilità di sfruttamento della rata a tasso variabile nelle prossime settimane.

(per le previsioni Euribor 3 mesi e Irs al 31 gennaio 2011 si legga http://www.questidenari.com/?p=3626)

Euribor 3 mesi: le previsioni di agosto fino al 2013

Magari avrà contribuito pure il caldo vacanziero agostàno a questo clima un po’ surreale sui mercati finanziari, dove si continua a fuggire dai fondi liquidità ed obbligazionari breve termine (fonte: Morningstar.it) ma non si cercano approdi ad alto rischio, con l’eccezione delle obbligazioni governative dell’Europa periferica per le quali i risparmiatori si fanno tentare dall’opportunità del rimbalzo. Gli indici manifatturieri del vecchio continente sono tutti in crescita, ma i numeri trainati dalle esportazioni devono aver ingenerato la convinzione che i dati positivi risentano troppo dell’indebolimento della moneta unica europea.

Fatto sta che i test del CEBS, che avrebbero dovuto stressare i bilanci delle banche europee ma sembra abbiano fatto sorridere gli analisti per la mancata simulazione dei default sovrani e per una soglia di attenzione del Tier 1 troppo benevola, hanno contribuito a far volare i bancari di fine luglio assieme all’idea – piuttosto campata in aria – del lieto fine della crisi sistemica dei debiti pubblici.

Anche Trichet ha recitato il suo ruolo nella stessa conferenza a margine della riunione del consiglio direttivo Bce del 5 agosto: prima ottimista sulla ripresa economica ed assertore convinto della severità degli stress test, poi prudente sulla continuità nel tempo dell’andamento degli indicatori macro, di sicuro ha lasciato fermo il costo base del denaro all’1% ed i rimanenti tassi di riferimento (fonte: IlSole24Ore.com).

Come a dire che le banche europee, tutte rincuorate dagli stress test ad eccezione della tedesca Hypo Real Estate, della greca Ate Bbank e di 5 casse di risparmio spagnole, possono continuare a sbrigarsela da sole nel reperire i fondi necessari all’esercizio della loro attività fondamentale: il 2011 – anno in cui sarà raggiunto il picco massimo della restituzione dei capitali presi in prestito attraverso emissioni obbligazionarie, che furono valida soluzione al raffreddamento degli scambi di denaro ai tempi del credit crunch nel 2008 – per loro sembra lontanissimo.

Adesso il vero banco di prova per le banche, lontano dai laboratori dei modelli matematici, è rappresentato dal mercato, luogo economico ancora abbondante di liquidità ed in cui gli istituti di credito devono sopravvivere rifornendosi di denaro reciprocamente e attingendo dai risparmiatori attraverso le emissioni dei corporate bond.

Il prezzo della prima fornitura si chiama Euribor, e negli ultimi giorni sembra essersi addormentato. Rallentato il suo ritmo di crescita a livelli visti soltanto prima di luglio (ovvero prima che si desse inizio fattivamente all’exit strategy), a volte addirittura fermo, l’andamento del tasso interbancario conferma che sono lontani in tempi del dopo Lehman, quando le banche si guardavano in cagnesco.

Respirano i governi, che si augurano di non dover più intervenire a sostegno del sistema finanziario, e si ossigenano tutti coloro che hanno comprato casa col mutuo a tasso variabile: l’Euribor a 3 mesi, a cui molte quote interessi sono parametrate, ha fatto segnare il livello 0,905% a chiusura della prima settimana di contrattazioni di agosto. Le scadenze a 1, 6 e 12 mesi, inoltre, hanno fatto registrare rispettivamente i valori percentuali 0.649, 1.154 e 1.428 nello stesso venerdi 6.

E se la crescita dell’Euribor prosegue senza sostanziali variazioni rispetto al recente passato, continua pure la visione della crescita mite dello stesso tasso interbancario da parte degli operatori di mercato, con qualche rallentamento sulle scadenze più ravvicinate dell’anno corrente rispetto alle evidenze di un mese fa (http://www.questidenari.com/?p=2755).

Infatti, in termini di previsione e sempre alla data del 6 agosto 2010, i tassi impliciti nelle quotazioni dei contratti future sull’Euribor 3 mesi scambiati sull’Eurex hanno fatto segnare i seguenti livelli:

–        settembre 2010: 0,975% (era 1,01% nelle previsioni dello stesso periodo iniziale di luglio)

–        dicembre 2010: 1,075% (era 1,14% nelle previsioni di luglio)

–        marzo 2013: 2,04% (in rialzo rispetto al 2,015% di luglio).

(per le previsioni Euribor 3 mesi e i valori dell’Irs aggiornati a inizio settembre 2010 si legga http://www.questidenari.com/?p=2958)

La risalita (più veloce) dell’Euribor a luglio 2010. Le previsioni

La restituzione alla Bce dei 442 miliardi di euro in scadenza lo scorso 1° luglio, ed il rifinanziamento con le aste di breve durata di cui hanno beneficiato le stesse banche presentatesi alla porta dell’Eurotower a partire dalla fine di giugno, hanno significato almeno due fatti importanti per la salute dell’economia continentale – se non si vuole attribuire troppo risalto alla reazione istantanea da cui hanno tratto vantaggio i listini azionari europei ed il cambio sul dollaro.

Anzitutto, la prima (e più temuta) operazione di sottrazione di liquidità dal sistema è trascorsa senza troppi patemi: l’avvio della exit strategy, finalmente realizzato in maniera fattiva da quando, nel novembre 2009, vennero annunciati criteri più stringenti per l’accettazione e l’utilizzo delle cartolarizzazioni garantite da asset-backed securities (Abs), segna l’accettazione diffusa del progressivo riassorbimento delle masse monetarie dal sistema economico, in precedenza iniettate attraverso operazioni di carattere straordinario rese necessarie dai fallimenti memorabili di Lehman e di altri giganti del capitalismo anglosassone. In altri termini, è stato messo a punto scientemente e con successo il primo passo verso la normalizzazione di un sistema finanziario i cui protagonisti – le banche in primis – devono saper fare in maniera autonoma, senza l’appoggio esterno di consistenti aiuti governativi che inquinano i bilanci e producono effetti distorsivi, inevitabili in alcuni momenti ma dannosi nel lungo termine – quando, ad esempio, inducono le banche a “parcheggiare” i fondi presso la stessa Banca Centrale anziché farli fluire nel circuito bancario (fenomeno sempre più diffuso nelle ultime settimane http://www.questidenari.com/?tag=previsioni-euribor) o peggio quando fanno gonfiare ed esplodere le famigerate bolle speculative che hanno afflitto i mercati americani e potrebbero affliggere quelli europei.

Nonostante il saldo negativo delle ultime operazioni sui mercati monetari, la presenza di liquidità nel sistema – eccedenza superiore a quota 100 miliardi secondo le stime degli analisti (fonte: IlSole24Ore.com) – rimane ancora abbondante. Con attenzione, ma certo con meno preoccupazioni, si guarda alla scadenza prossima di settembre che segnerà la restituzione da parte delle banche di un’altra tranche consistente di denaro, nel segno di una manovra di politica monetaria finalizzata, tra l’altro, ad impedire la formazione di spinte inflazionistiche.

In secondo luogo, il fatto che le banche abbiano vissuto senza drammatizzazioni il momento critico sta ad indicare che particolari tensioni fra istituti di credito non ce ne saranno.

E difatti l’Euribor, dopo qualche comprensibile scossone, ha ripreso la consueta marcia di riduzione delle distanze dal costo base del denaro fissato dalla Bce, a conferma forse definitiva che il punto di minimo è alle spalle.

Non solo. Causa le operazioni di riassorbimento della liquidità, stavolta è aumentata la velocità di avvicinamento al citato valore dell’1%, costo base nuovamente lasciato inalterato a luglio da Trichet al pari del tasso marginale sulle operazioni di rifinanziamento (1,75%) e di quello sui depositi presso l’istituto centrale (0,25%). In proposito, la Bce ha rilevato negli ultimi mesi una ripresa economica graduale e più energica rispetto al primo trimestre 2010, analogamente alla stima sulla congiuntura positiva espressa dall’FMI, ed annuncia il progressivo rientro dallo stato di emergenza che aveva indotto l’acquisto straordinario di titoli del debito sovrano per sostenere i Paesi colpiti dalla speculazione.

Tutto regolare, quindi, senza paura della immediata ricaduta in recessione; come regolarmente tutte le scadenze del tasso interbancario Euribor seguono lo stesso trend al rialzo, ivi inclusa quella a 3 mesi che interessa particolarmente i titolari di mutuo a tasso variabile – molti dei quali si accorgeranno in ritardo dell’aumento della rata per via della diffusa adozione del meccanismo di indicizzazione della quota interessi al tasso di riferimento sulla base di medie mobili. Nel dettaglio grafico, ecco l’andamento dell’Euribor trimestrale rilevato nei giorni di contrattazione tra il 1° gennaio e l’8 luglio 2010, data ultima in cui è stato fissato a quota 0,81%, ai massimi da settembre 2009:

Anche le previsioni degli operatori di mercato al giorno 8 luglio 2010 continuano a vedere tassi in crescita, sempre graduale ma ininterrotta nei prossimi anni.

Con riferimento al mercato tedesco dei prodotti derivati (Eurex – altamente specializzato assieme al londinese Liffe), tutte le scadenze segnano rialzi: i future sull’Euribor 3 mesi sono all’1,01% e all’1,14% – rispettivamente – per le scadenze di settembre e dicembre 2010. Per vedere il tasso interbancario sopra quota 1,5% bisognerà attendere marzo 2012; l’anno successivo, a marzo 2013, l’Euribor 3 mesi sarà al 2,015%.

(per le previsioni Euribor 3 mesi aggiornate ad agosto 2010 si legga: http://www.questidenari.com/?p=2831)

Euribor e Btp a giugno: comportamento attuale e previsioni future 2010

Che controllino l’Euribor, o che tengano d’occhio l’andamento del Libor – altro tasso interbancario che, sul mercato londinese, misura il costo del denaro sui depositi a termine espresso in divisa americana, anziché europea – il senso dell’analisi attualmente fornita da alcuni commentatori descrive in ogni caso la crescente sfiducia con cui le banche si prestano soldi a vicenda nei due continenti.

Sgomberato il campo dall’equivoco di trovarci di nuovo di fronte al dopo-Lehman (http://www.questidenari.com/?tag=previsioni-euribor), quando l’Euribor viaggiava al massimo storico del 5,393% alla scadenza trimestrale ed il Libor 3 mesi era al 4,81%, è bene chiarire che l’ascesa del tasso in valuta Usa si è arrestata a partire dall’ultima settimana di maggio, attestandosi ieri allo 0,53656%.

Priva di indecisioni, ma più graduale, è stata invece la risalita del costo sui depositi nell’Eurozona dalla fine di marzo 2010: l’Euribor 3 mesi, ieri allo 0,715%, è infatti non molto distante dai minimi fatti registrare tempo addietro.

Una delle motivazioni della risalita sarebbe rintracciabile nell’approssimarsi della data del prossimo 1° luglio, quando scadrà la maxi-operazione di prestito a dodici mesi effettuata dalla Bce l’anno scorso per inondare il mercato con 442 miliardi di euro: se è vero che le banche potranno rifornirsi di denaro in occasione delle prossime aste, comunque caratterizzate da scadenze più ravvicinate, è anche evidente che molti istituti stanno scegliendo di trattenere i fondi posseduti anziché farli fluire nel circuito bancario (fonte: IlSole24Ore.com). La spiegazione del denaro come “merce” più preziosa – perché scarsa – appare a chi scrive di maggiore interesse rispetto al fantasma della reciproca sfiducia basata sul sospetto di bilanci inquinati.

Tuttavia è giusto affermare che l’emotività sembra ancora alta, e che l’incertezza sul mercato è percepibile anche dai movimenti dei rendimenti registrati sui bond governativi negoziati sul secondario. E’ bastata una richiesta congiunta della Merkel e di Sarkozy, circa la moratoria alle vendite allo scoperto di azioni e titoli di Stato, per far allentare la domanda dei Bund e ritrovare interesse nei Paesi periferici, ad eccezione del decennale greco: il rendimento del Btp a 10 anni è sceso di 14 basis points a quota 4,13%, mentre quello del governativo tedesco di pari durata è salito di 2 punti base.

Ma proprio i dati di bilancio in chiaroscuro dei Paesi membri “aiuteranno” i debitori a restituire la rata del prestito a tasso variabile il cui importo si lega all’Euribor, a sua volta influenzato dal costo base del denaro in Eurolandia. Tanto si aspettano gli operatori di mercato a giudicare dalla conclusione ultima dei contratti future sull’Euribor trimestrale, avvenuta sul mercato London International Financial Futures Exchange: l’attestazione del saggio implicito allo 0,9% per fine 2010 descrive le attese di un trend crescente, ma senza strappi, del tasso interbancario (fonte: IlSole24Ore.com).

(per le previsioni Euribor di luglio 2010 si legga: http://www.questidenari.com/?p=2755)

L’esposizione delle banche italiane al rischio emittente dei PIGS

Meno di due anni fa, all’indomani dello scandalo Lehman Brothers, gli Stati e gli organismi finanziari sovranazionali reagirono alla condizione di scarsa liquidità venutasi a determinare nel sistema finanziario predisponendo misure a sostegno dell’economia. In Italia si dette il via ai c.d. Tremonti bond, titoli obbligazionari bancari che, una volta sottoscritti dal Ministero dell’Economia, avrebbero rafforzato il capitale di vigilanza degli istituti di credito al fine di rendere più agevole l’erogazione dei prestiti ai richiedenti.

Al momento, sia pure in maniera marginale e non generalizzata, si assiste ad un aggravamento della situazione: ad entrare in crisi è lo stesso Stato sovrano, incapace di produrre reddito a sufficienza, e di conseguenza la banca che, in ottemperanza ai dettami fissati da Basilea2, ha rafforzato il proprio patrimonio inserendo in portafoglio la “sicurezza” dei titoli di Stato (fonte: IlSole24Ore.com).

E la liquidità utilizzata dalle banche per acquistare bond governativi è stata attinta dalla Bce, secondo un meccanismo che ha permesso agli istituti di finanziarsi a breve termine all’1% ed investire a lungo termine a tassi almeno 3 volte maggiori – a ben vedere, si tratta di una logica per taluni aspetti simile a quella che innescò la crisi americana dei subprime, quando le banche, rifornite di denaro a costo limitato, finanziarono l’acquisto della casa da parte di tanti privati fino allo scoppio della bolla immobiliare.

Con riferimento all’attuale scenario nostrano, per i primi dieci gruppi bancari italiani le attività finanziarie sono costituite al 54% da titoli di debito (fra cui i titoli di Stato, pari a circa 1/3 del totale investito, oltre ad obbligazioni bancarie e societarie), al 31,5% da derivati a scopo speculativo, e al 10% da azioni e quote di fondi comuni d’investimento.

In termini di miliardi di euro, secondo dati parziali, i portafogli delle maggiori banche italiane contengono titoli PIGS – ovvero titoli del debito pubblico emessi da Paesi periferici a rischio nella zona Euro – nella seguente misura modesta, ma soggetta a successivi aggiornamenti: Unicredit (1,6), Intesa Sanpaolo (1,1), Mediobanca (0,4), Monte dei Paschi di Siena (0,35), Banco Popolare (0,24).

Fonte: IlSole24Ore.com

(articolo correlato: http://www.questidenari.com/?p=2689)

(per il bilancio 2010, per il 1° bilancio trimestrale 2011 ed il pagamento a maggio dei dividendi di Unicredit si legga http://www.questidenari.com/?p=4199)