Archivi tag: moneta unica

Le previsioni Euribor su Eurex e Liffe. I tassi Irs dopo metà novembre

In un contesto economico non meno complesso di quello del mese passato (http://www.questidenari.com/?p=3061), la Bce, che a fine ottobre e per la terza volta consecutiva aveva rinunciato ad acquistare titoli di Stato, continua ad assorbire liquidità per le operazioni di restituzione delle banche: in tal modo l’istituto centrale procede a normalizzare la politica monetaria con la sua exit strategy.

Per avere idea di cosa stia accadendo ai flussi monetari nei circuiti interbancari, può essere indicativo il rapporto tra i 12 miliardi di euro collocati dalla Banca Centrale Europea (pagati dagli istituti di credito l’1%, costo base del denaro lasciato invariato da Trichet al pari degli altri tassi anche questo mese) ed i 36 miliardi restituiti giovedi 11 novembre dalle banche commerciali: i numeri evidenziano che queste ultime dispongono a sufficienza dei fondi in grado di esaudire la domanda dei loro richiedenti, e quindi non hanno particolare necessità di domandare soldi alla Bce o di prestarseli reciprocamente per lucrare sul prezzo (fonte: IlSole24Ore.com).

In altre parole, dopo i necessari movimenti di adeguamento l’Euribor non riceve rilevanti pressioni e da circa quindici giornate operative manifesta andamento piatto, con la scadenza 3 mesi (interessante per quel 60% di richiedenti mutuo che negli ultimi anni hanno preferito scegliere la soluzione della rata a tasso variabile per l’acquisto della propria casa http://www.questidenari.com/?tag=fondo-solidarieta-mutui) praticamente ferma a quota 1,040% dopo aver passato con indifferenza la soglia psicologica dell’1%, e con la scadenza semestrale giunta a 1,266% ai rispettivi fixing del venerdi 19 novembre.

La ripresa economica che procede a rilento in Eurolandia, di certo, non mette fretta al presidente dell’Eurotower per un rapido rialzo del tasso base fermo da molti mesi.

Coi gestori interpellati che già da tempo si sono dichiarati in forte dubbio su un intervento restrittivo di Trichet prima di metà 2011 (fonte: Morninstar.it), più che le aspettative di politica monetaria in questo momento sono le preoccupazioni sull’andamento del ciclo economico a spingere avanti nel tempo i rialzi dell’Euribor trimestrale atteso.

I tassi impliciti nei derivati contrattati sui mercati Liffe ed Eurex, rispetto alle previsioni dell’Euribor 3 mesi della prima decade di ottobre, parlano ancora il linguaggio della crescita graduale nel tempo, lontanissima dagli sbalzi del dopo Lehman Brothers, e manifestano ritocchi al rialzo molto limitati nel breve termine. Se invece si considerano valori oltre il 2011 – di nuovo confrontati con quelli di un mese e mezzo fa – i rialzi sulle scadenze di giugno 2012 e dicembre 2013 sono più consistenti (ma pur sempre limitati: circa +0,4% sul lungo termine contro +0,1% sul breve), verificandosi una evidente traslazione in avanti nel tempo delle attese degli operatori circa scenari macroeconomici caratterizzati da una ripresa più vigorosa. Nel dettaglio, l’Eurex propone al 19/11/2010:

–        Dic 10: 1,075% (1,065% a ottobre)

–        Mar 11: 1,235% (1,13% a ottobre)

–        Giu 11: 1,38%

–        Set 11: 1,485%

–        Giu 12: 1,84% (era 1,475% a ottobre)

–        Dic 12: 2,07%.

Il Liffe, sempre al 19/11/2010:

–        Dic 10: 1,07% (1,055% a ottobre)

–        Mar 11: 1,25% (1,125% a ottobre)

–        Giu 11: 1,375%

–        Dic 11: 1,65%

–        Giu 12: 1,875% (1,445% a ottobre)

–        Dic 13: 2,56% (2,085% a ottobre).

Tornando al quadro macro, tiene banco da giorni lo spauracchio del default sovrano per il debito preoccupante dell’Irlanda: le dichiarazioni del cancelliere tedesco Merkel, che vorrebbe far ricadere sugli investitori privati il peso di un futuro piano di salvataggio analogo a quello approntato per la Grecia, hanno provocato una corsa alla vendita dei titoli di Stato esistenti da parte degli operatori. Molto di questo trambusto – speculazione allo stato puro di Borsa ma pure mediatica che, a sua volta, incide sulle quotazioni – è determinato dal debito concesso ai privati e non sembra essere stemperato dai dati positivi del Pil irlandese la cui entità, fra l’altro, pesa molto poco in termini percentuali all’interno dell’Eurozona.

Dietro al malessere dei mercati sta una delle operazioni più semplici e redditizie messe in atto dalle banche negli ultimi anni: l’acquisizione di denaro a basso costo dalla Bce con cui comprare titoli dei Paesi membri ad alto rendimento – ovvero quelli con le finanze più traballanti – al fine di lucrare sullo scarto. Gioco facile, ma non privo di rischi.

Prima che si estendessero le vendite dai titoli governativi agli azionari, in particolare sulle piazze di Milano e Madrid dove la presenza dei bancari è più massiccia, l’effetto immediato si è registrato sui differenziali tra rendimenti dei Paesi periferici ed il benchmark dello Stato più virtuoso (Germania) giunti a toccare nuovi massimi – problemi anche per i Btp posizionati a metà classifica, poi di nuovo valorizzati da una discreta presenza di acquirenti all’asta del Tesoro ultima del 12 novembre (http://www.questidenari.com/?tag=btp). Maggiormente colpiti i titoli irlandesi (arrivati ad offrire martedi scorso il 5,82% in più dei Bund decennali di pari scadenza per attirare compratori), greci e portoghesi, non solo per l’allargamento dello spread ma pure per il prezzo dei Credit Default Swap schizzato verso l’alto, una sorta di assicurazione contro il rischio di fallimento dello Stato sovrano e termometro della salute del bilancio pubblico.

Il tutto con evidenti quanto inevitabili strascichi sulla moneta unica, prima del rialzo al sopraggiungere delle notizie sull’avvio delle trattative di aiuto all’Irlanda (Eur/Usd fissato a 1,36 al 19 novembre 2010). Il cambio altalenante, quando indebolisce il biglietto verde, incentiva l’acquisto delle materie prime fra cui spicca il petrolio, la scorsa settimana ai massimi dai due anni e alla luce degli ultimi fatti tornato poco sotto gli 82 dollari al barile di greggio, anch’esso degno protagonista della confusione generale.

In particolare sul cambio, giorni fa Trichet ha precisato che non è in atto – semplicemente perché non potrebbe esserlo! – una “guerra di valute”, essendo il cambio una conseguenza, in massima parte, delle politiche economiche adottate.

Il presidente Bce, appellandosi ai capisaldi della disciplina macro-economica in materia di relazioni internazionali, ha voluto riferirsi alla debolezza delle valute del dollaro e dell’euro, la prima come conseguenza di una politica monetaria ultra-espansiva di Bernanke adottata in un contesto in cui l’arma della politica fiscale è inceppata per via del parlamento di Obama, e la seconda come frutto dei bilanci dei Paesi membri europei non sempre in ordine – problema che, sia pur in minima parte, tocca persino la solida Germania. Correttamente, Trichet ritiene che le manovre sui tassi d’interesse disposte dalle banche centrali per portare il cavallo alla fonte (senza riuscire a farlo bere), e che influenzano prima i flussi internazionali di capitale e poi gli scambi commerciali import/export, nel tempo condizionano i tassi di cambio per questioni di mero equilibrio dei conti, e che pertanto una moneta debole non sia altro che la conseguenza di uno Stato debole.

In un simile contesto, effettuare previsioni sull’andamento di prezzo dei titoli di Stato, tra l’altro influenzato dai piani di acquisto programmati dalle banche centrali, è opera assai ardua che induce molti analisti ad un atteggiamento di prudente attesa; le aspettative degli operatori, al momento, non sono sufficienti a spiegare l’incontro dei volumi di domanda e offerta sui mercati.

Il concetto più vicino alla realtà, per quanto generico, è espresso da quel bisogno di sicurezza che continuerà ad essere individuato nelle emissioni dei Paesi ritenuti più affidabili e che appiattirà i rendimenti del Bund decennale, cui è collegato il tasso IRS, e dei governativi francesi e olandesi. Salvo poi assistere, come è avvenuto negli ultimi giorni, alle resistenze dei Bund a quota 2,70% contestualmente alla salita dei rendimenti dei periferici per vendite di massa, in attesa della parola definitiva sulla questione degli aiuti all’Irlanda. Nel frattempo, il future sull’Euro Bund-10 anni fa segnare ultimo prezzo 127,47 a dicembre e 127,31 a marzo sul mercato Eurex.

Alcuni analisti ritengono che l’eccessiva rapidità dei movimenti verso l’alto dei rendimenti sia destinata a sfociare in una correzione tecnica nei prossimi mesi.

I tassi EurIRS rilevati al 19 novembre, parametro di riferimento per il calcolo della rata di mutuo a tasso fisso, manifestano i seguenti valori

–        10 anni: 3,03% (2,63% a ottobre)

–        15 anni: 3,36% (2,93% a ottobre)

–        20 anni: 3,41% (3,03% a ottobre)

–        25 anni: 3,35% (2,98% a ottobre)

–        30 anni: 3,24% (2,87% a ottobre)

che ancora una volta hanno andamento decrescente superata la scadenza ventennale e segnalano incrementi generalizzati rispetto alle rilevazioni del mese scorso.

(le previsioni fino al 2016 sui tassi Euribor 3 mesi a gennaio 2011 sono alla pagina http://www.questidenari.com/?p=3544)

Debito pubblico, titoli bancari e moneta unica europea. I riflessi sul Giappone

A quanto sembra anche il mondo finanziario è bello perché è vario.

Mentre alcuni esperti incoraggiano l’acquisto delle obbligazioni bancarie europee, che al momento permettono di spuntare prezzi interessanti (http://www.questidenari.com/?p=2689), l’analista di Morningstar Matthew Warren consiglia prudenza nella scelta dei titoli bancari dell’Europa periferica, inclusa l’Italia.

La ragione sarebbe costituita dal grado di trasparenza, ancora insufficiente, dimostrata dagli istituiti di credito al momento di rivelare la propria esposizione al debito sovrano dei PIIGS: se molte banche hanno fatto conoscere la porzione del proprio attivo patrimoniale investita in obbligazioni della Grecia, in poche hanno manifestato la stessa chiarezza riguardo all’infarcimento dei bilanci coi bond governativi portoghesi e spagnoli.

Ma non sarebbero soltanto le banche europee a dover temere il fallimento degli Stati sovrani.

L’indebolimento dell’euro per le note vicende, oltre a determinare il rafforzamento del dollaro, va pure a vantaggio dello yen. La conseguente penalizzazione delle esportazioni giapponesi più costose – che fanno i 2/3 dell’economia locale – innesca una pericolosa reazione a catena evidente nelle minori entrate fiscali e nel peggiorato rapporto debito/Prodotto Interno Lordo, attualmente al 200%.

E difatti, anche in assenza di timori legati a significative esposizioni delle banche nipponiche verso il debito dei Paesi europei periferici (http://www.questidenari.com/?p=2575), l’indice Msci (calcolato in euro) del Giappone ha perso due punti percentuali nell’ultimo mese (Ytd = 14,6% al 18 giugno 2010).

Stavolta, la performance deludente non può essere stata influenzata dal giudizio di Fitch, rimasto invariato a livello AA- con outlook stabile nonostante le ultime dichiarazioni di revisione. Stessa condotta seguita da Moody’s, il cui giudizio sul Paese del Sol Levante è Aa2: soltanto la scarsa credibilità della nuova manovra fiscale giapponese, prossima alla presentazione, potrà motivare l’abbassamento del rating.

Fonte: Morningstar.it