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La deducibilità degli interessi passivi

Al fine di approfondire la conoscenza dell’argomento relativo alla deducibilità degli interessi passivi per i soggetti IRES (http://www.questidenari.com/?p=1245), riporto quanto segue:

D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917

Testo unico delle imposte sui redditi

(G.U. n. 302 del 31 dicembre 1986, s.o. n. 1)

(Testo in vigore dal 1° dicembre 2004 dopo le modifiche del d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344)

(omissis)

TITOLO SECONDO

Imposta sul reddito delle società

(omissis)

CAPO SECONDO

Determinazione della base imponibile delle società e degli enti commerciali residenti

SEZIONE PRIMA

Determinazione della base imponibile

81. – 95. (omissis)

96. Interessi passivi. (1) – 1. Gli interessi passivi e gli oneri assimilati, diversi da quelli compresi nel costo dei beni ai sensi del comma 1, lettera b), dell’art. 110, sono deducibili in ciascun periodo d’imposta fino a concorrenza degli interessi attivi e proventi assimilati. L’eccedenza è deducibile nel limite del 30 per cento del risultato operativo lordo della gestione caratteristica. La quota del risultato operativo lordo prodotto a partire dal terzo periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007, non utilizzata per la deduzione degli interessi passivi e degli oneri finanziari di competenza, può essere portata ad incremento del risultato operativo lordo dei successivi periodi d’imposta.

2. Per risultato operativo lordo si intende la differenza tra il valore dei costi di produzione di cui alle lettere A) e B) dell’art. 2425 del codice civile con esclusione delle voci di cui al numero 10), lettere a) e b), e dei canoni di locazione finanziaria di beni strumentali, così come risultanti dal conto economico dell’esercizio; per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali si assumono le voci di conto economico corrispondenti.

3. Ai fini del presente articolo, assumono rilevanza gli interessi passivi e gli interessi attivi, nonché gli oneri e i proventi assimilati, derivanti da contratti di mutuo, da contratti di locazione finanziaria, dall’emissione di obbligazioni e titoli similari e da ogni altro rapporto avente causa finanziaria, con esclusione degli interessi impliciti derivanti da debiti di natura commerciale e con inclusione, tra gli attivi, di quelli derivanti da crediti della stessa natura. Nei confronti dei soggetti operanti con la pubblica amministrazione, si considerano interessi attivi rilevanti ai soli effetti del presente articolo anche quelli virtuali, calcolati al tasso ufficiale di riferimento aumentato di un punto, ricollegabili al ritardato pagamento dei corrispettivi.

4. Gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati indeducibili in un determinato periodo d’imposta sono dedotti dal reddito dei successivi periodi d’imposta, se e nei limiti in cui in tali periodi l’importo degli interessi passivi e degli oneri assimilati di competenza eccedenti gli interessi attivi e i proventi assimilati sia inferiore al 30 per cento del risultato operativo lordo di competenza.

5. Le disposizioni dei commi precedenti non si applicano alle banche e agli altri soggetti finanziari indicati nell’art. 1 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87, con l’eccezione delle società che esercitano in via esclusiva o prevalente l’attività di assunzione di partecipazione in società esercenti attività diversa da quella creditizia e finanziaria, alle imprese di assicurazione nonché alle società capogruppo di gruppi bancari e assicurativi. Le disposizioni dei commi precedenti non si applicano, inoltre, alle società consortili costituite per l’esecuzione unitaria, totale o parziale, dei lavori, ai sensi dell’art. 96 del regolamento di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, alle società di progetto costituite ai sensi dell’art. 156 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e alle società costituite per la realizzazione e l’esercizio di interporti di cui alla legge 4 agosto 1990, n. 240, e successive modificazioni, nonché alle società il cui capitale sociale è sottoscritto prevalentemente da enti pubblici, che costruiscono o gestiscono impianti per la fornitura di acqua, energia e teleriscaldamento, nonché impianti per lo smaltimento e la depurazione.

5-bis. Gli interessi passivi sostenuti dai soggetti indicati nel primo periodo del comma 5, sono deducibili dalla base imponibile della predetta imposta nei limiti del 96% del loro ammontare. Nell’ambito del consolidato nazionale di cui agli articoli da 117 a 129, l’ammontare complessivo degli interessi passivi maturati in capo a soggetti di cui al periodo precedente partecipanti al consolidato a favore di altri soggetti partecipanti sono integralmente deducibili sino a concorrenza dell’ammontare complessivo degli interessi passivi maturati in capo dei soggetti partecipanti a favore di soggetti estranei al consolidato. La società o ente controllante opera la deduzione integrale degli interessi passivi di cui al periodo precedente in sede di dichiarazione di cui all’art. 122, apportando la relativa variazione in diminuzione della somma algebrica dei redditi complessivi netti dei soggetti partecipanti (2).

6. Resta ferma l’applicazione prioritaria delle regole di indeducibilità assoluta previste dall’art. 90, comma 2, e dai commi 7 e 10 dell’art.110 del presente testo unico, dall’art. 3, comma 115, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, in materia di interessi su titoli obbligazionari, e dell’art. 1, comma 465, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, in materia di interessi sui prestiti dei soci delle società cooperative.

7. In caso di partecipazione al consolidato nazionale di cui alla sezione II del presente capo, l’eventuale eccedenza di interessi passivi ed oneri assimilati indeducibili generatisi in capo a un soggetto può essere portata in abbattimento del reddito complessivo di gruppo se e nei limiti in cui altri soggetti partecipanti al consolidato presentino, per lo stesso periodo d’imposta, un risultato operativo lordo capiente non integralmente sfruttato per la deduzione. Tale regola si applica anche alle eccedenze oggetto di riporto in avanti, con esclusione di quelle generatesi anteriormente all’ingresso nel consolidato nazionale.

8. Ai soli effetti dell’applicazione del comma 7, tra i soggetti virtualmente partecipanti al consolidato nazionale possono essere incluse anche le società estere per le quali ricorrerebbero i requisiti e le condizioni previste dagli articoli 117, comma 1, 120 e 132, comma 2, lettere b) e c). Nella dichiarazione dei redditi del consolidato devono essere indicati i dati relativi agli interessi passivi e al risultato operativo lordo della società estera corrispondenti a quelli indicati nel comma 2.

(1) Articolo sostituito per intero dall’art. 1., 33°, lett. i), l. 24 dicembre 2007, n. 244, che ha contemporaneamente abrogato gli artt. 97 e 98. L’abrogazione ed il nuovo testo hanno effetto a partire dall’esercizio successivo a quello in corso al 31.12.2007; per il 1° e il 2° periodo d’imposta di applicazione, il limite di deducibilità degli interessi passivi è aumentato rispettivamente di un importo pari a 10.000 e 5.000 euro.

(2) Comma inserito dall’art. 82, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv., con mod., dalla l. 6 agosto 2008, n. 133, con decorrenza dal 22 agosto 2008.

Quale ciclo monetario? – 3

 

Ma ora veniamo alle discordanti note.

Alcuni autori calcolano i giorni debitori rapportando i debiti commerciali al fatturato.

Che senso ha paragonare fra loro due valori solo lontanamente collegati? Il costo delle materie prime, prima di tradursi in ricavo, deve essere ricaricato in base ai costi relativi a tutti i fattori produttivi che aggiungono valore direttamente, in base alle spese generali e al mark-up! Ciò a dire, tra il costo diretto per soli materiali che origina debito (perché operai e servizi vanno pagati cash, per citare le voci più importanti) ed il prezzo di vendita può esserci un abisso!

Molto più sensato, allora, rapportare i debiti commerciali ai costi operativi che hanno concorso a generare gli stessi debiti – principalmente, acquisti per materie prime.

La formula dei giorni debitori ricalca quella già vista per i crediti (http://www.questidenari.com/?p=658), e si ottiene dividendo il totale dei debiti commerciali iscritti a bilancio (il ciclo monetario è calcolato al 31.12) per gli acquisti dell’anno espressi giornalmente (ovvero divisi per 360) al fine di estrapolare il numero dei giorni di dilazione concessa dai fornitori (in media!) – fra l’altro, vi ricordo che negli acquisti rientrano pure gli interessi passivi su debiti commerciali, i c.d. interessi impliciti (http://www.questidenari.com/?p=479).

Facciamo l’esempio di un’azienda che acquista 3 (Euro) di merce al giorno per tutti i giorni, a fine mese acquista 90 e a fine anno 1080, e paga i fornitori con 60 giorni di ritardo.

A fine esercizio, l’azienda avrà pagato tutti gli acquisti tranne i mesi di novembre e dicembre, ovvero avrà iscritto a bilancio debiti commerciali per 180. Applichiamo la formula descritta:

gg D = debiti commerciali • 360 / acquisti = 180 • 360 / 1080 = 60.

c.v.d.

(continua http://www.questidenari.com/?p=741)

ROI vs interessi impliciti

 

Prendo spunto dall’ultimo post del mio Staff (http://www.questidenari.com/?p=454), che accennava all’atteggiamento diffuso degli imprenditori nei confronti dell’IVA, per inaugurare questa nuova categoria con un argomento difficilmente reperibile in letteratura.

Per quale motivo molti imprenditori sono portati a “trattenere” nelle loro casse più liquidità possibile, facendo riferimento all’Erario, ai fornitori, alle banche, e persino (indebitamente) ai dipendenti?

Perché essi, facendo affidamento sui tassi di ritorno delle loro attività che di norma sono alti, sono consapevoli di restituire soldi pagando interessi passivi inferiori, in percentuale, ai propri ritorni, ovvero ne lucrano la differenza.

Vediamo un esempio        

        Hp 1 (autocrazia): se a inizio gennaio un imprenditore dispone di liquidità pari a 100 (Euro) che investe in fattori a fecondità semplice da trasformare in prodotti finiti, a fine mese incasserà 102 dalla vendita dei suoi beni. Ogni mese l’imprenditore ripete la medesima operazione.

        Hp 2 (ricorso al fornitore): la situazione alternativa a sua disposizione è rappresentata dal ricorso alla dilazione di pagamento a 30 giorni concessagli dal fornitore di materie prime che chiede interessi impliciti, pari ad 1, sul valore delle materie stesse. A fine gennaio, l’imprenditore tornerà dal fornitore per estinguere il proprio debito in termini di capitale prestato ed interessi passivi, trattenendo la differenza tra il ricavato dalla vendita ed il debito in scadenza, e rinnoverà la richiesta di fornitura per il mese di febbraio con le stesse modalità e per tutti i mesi dell’anno: di fatto, l’imprenditore lavorerà anche coi soldi del fornitore e potrà così disporre del doppio del capitale iniziale, e quindi di un ritorno doppio, secondo il seguente schema riepilogativo di entrambe le ipotesi

 

Hp 1

         

Hp 2

       
                     
 

capitale al 01.01

 

100

   

capitale al 01.01

 

100+100

 

capitale al 31.12

 

124

   

capitale al 31.12

 

124+124

             

interessi impliciti al 31.12

12

             

capitale da restituire al 31.12

100

                     
 

Totale Netto

 

124

   

Totale Netto

 

136

 

Appare evidente il beneficio che spinge l’imprenditore a fare uso dei soldi degli altri. Ma questo è sempre vero?

In realtà no, perché può accadere che il tasso di ritorno dell’attività imprenditoriale sia più basso del tasso di remunerazione richiesta dal fornitore – nell’esempio seguente gli interessi impliciti sono pari a 3 per ogni mese ceteris paribus:

 

 

Hp 3

       
         
 

capitale al 01.01

 

100+100

 

capitale al 31.12

 

124+124

 

interessi impliciti al 31.12

36

 

capitale da restituire al 31.12

100

         
 

Totale Netto

 

112

 

Come si nota, il ricorso al fornitore esoso non solo non ha apportato benefici, ma addirittura ha peggiorato la situazione rispetto all’ipotesi autocratica. Se ne deduce che il ricorso al fornitore conviene solo se la “velocità” di produzione di ricchezza nel tempo supera quella di distruzione della ricchezza stessa per interessi da pagare.

Mi perdoneranno i puristi della Finanza se ho fatto i conti della serva e non ho scomodato i regimi di capitalizzazione della matematica finanziaria, nè ho parlato (in chiave economica) delle variazioni che subisce il ROI quando il capitale di giro (o capitale circolante netto in senso stretto) diminuisce per effetto della politica commerciale, ovvero diminuisce il capitale (netto!) complessivamente investito, ma il mio intento è quello di divulgare una Finanza accessibile a tutti.

Trasferendoci dal caso di scuola alla realtà, aggiungo che il ricorso alla dilazione consente all’imprenditore di rinunciare al finanziamento bancario con tutti gli ovvi benefici in termini di mancata corresponsione degli oneri finanziari (tasso passivo sullo scoperto di conto corrente, notoriamente alto) e mancata prestazione di annessa garanzia (personale o reale; pensate anche ai depositi a garanzia costituiti da obbligazioni subordinate, polizze index linked, derivati ……. brividi?).

Facile, no? Talmente facile, che la maggior parte degli imprenditori non applica questi ragionamenti, interessandosi solo ad attingere liquidità in maniera indiscriminata.

Concludo ricordando le parole di Roberto Bizzarri, professore universitario a Cassino e dottore commercialista in Roma, pronunciate durante un corso di formazione professionale di cui fui frequentatore circa un anno fa: “sono pochissimi gli imprenditori bravi veramente, e si riconoscono dal fatto che riescono subito, a mente, a fare i conti sui rendimenti dell’operazione e trattare coi fornitori per decidere con rapidità a quale fra loro è opportuno rivolgersi”.