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La Grecia fa scendere l’Irs, non cambia l’Euribor e lascia indifferente qualche gestore

Ad eccezione dell’increspatura dell’Euribor registrata il 28 aprile, che ad esempio ha fatto “saltare” il tasso a 6 mesi per motivi tecnici da 0,958% del giorno precedente a 0,964%, i principali saggi di riferimento sono passati indenni per le vicende burrascose dei mercati finanziari sensibili agli ultimi fatti della Grecia. Un importante segnale di stabilità per chi si trova a pagare la rata del mutuo a tasso fisso o variabile, ma anche per chi ha investito i propri soldi in titoli obbligazionari.

L’Euribor, sempre vicino ai minimi storici, collega il proprio andamento senza sobbalzi all’attuale livello di liquidità abbondante nel sistema finanziario, e quindi seguirà le prossime decisioni della Bce in materia di exit strategy.

Ma se l’ultima asta di rifinanziamento a 3 mesi ha fatto registrare un discreto numero di banche (fors’anche elleniche) costrette a rivolgersi all’istituto centrale pagando il denaro almeno l’1%, perché evidentemente non sono riuscite a finanziarsi sul mercato a costi inferiori (0,65% per l’Euribor a 3 mesi, appunto), ciò significa che le operazioni di assorbimento della liquidità da parte dell’Eurotower dovranno essere rallentate, rispetto alla tabella di marcia prevista sino a poche settimane fa, al fine di non rendere ancora più diffidenti fra di loro gli istituti.

Sulla stessa linea, le attese degli operatori di mercato, riflesse nei future sull’Euribor a 3 mesi, indicano una crescita moderata nel tempo sulla via della “normalizzazione”: 0,80% a giugno 2010, 1,04% a dicembre 2010, e trend in crescita che culmina con l’1,72% a fine 2011. Inoltre, aumenta il numero di economisti che confida nel mantenimento dell’attuale costo del denaro (1%) nella zona Euro per tutto il 2010.

Si va ripetendo, in sostanza, il comportamento di indifferenza dei tassi già sperimentato allo scoppio della crisi immobiliare di Dubai, e si può quindi affermare che la situazione attuale non appare drammatica come fu ai tempi di Lehman Brothers: in questo frangente, in un contesto di liquidità abbondante, al centro dell’attenzione è la “spazzatura” costituita dai titoli di Stato della Grecia che sono (semplicemente) “senza valore”, e non sono “tossici” come avvenne in occasione del fallimento della banca d’affari americana, quando molte gestioni patrimoniali con profilo di rischio basso furono inquinate da strumenti finanziari che non avevano ragione di farne parte.

D’altro canto, la fuga dai bond greci verso la sicurezza teutonica (o fly to quality per gli anglofoni) ha fatto sì che il bund venisse raggiunto da un eccesso di domanda in grado di condizionarne prezzi e rendimenti, facendo giungere questi ultimi ai minimi storici; e siccome l’Irs è parametrato al governativo tedesco, anche il riferimento dei tassi fissi applicati in Europa è sceso ai suoi livelli minimi (fonte: Ilsole24Ore.com).

Rassicurati i mutuatari, come devono sentirsi coloro che hanno affidato i propri risparmi ai gestori dei fondi comuni d’investimento obbligazionari?

Qualche gestore già da tempo ha “eliminato” la Grecia, ritenendo il rischio Paese inadeguato al profilo della propria gestione; altri hanno rivisto le posizioni, riducendo la porzione di titoli ellenici; altri ancora hanno lasciato tutto invariato, convinti che il piano di salvataggio della Grecia impedirà il default e, contemporaneamente, permetterà loro di spuntare rendimenti più elevati della media (fonte: IlSole24Ore.com).

A questi ultimi sembra dare ragione la notizia odierna che il premier greco Papandreou ha firmato l’intesa con l’Unione Europea ed il Fondo Monetario Internazionale finalizzata ad evitare la bancarotta.

L’effetto Grecia su Btp e governativi europei, obbligazioni societarie, bilanci regionali e tassi previsti

Negli ultimi giorni le vicende dei mercati finanziari hanno mostrato comportamenti degli operatori in controtendenza rispetto alle consuete logiche di acquisto dei titoli obbligazionari, registrate dai tempi dell’ultimo grande scandalo Lehman Brothers e consolidate dallo scoppio della bolla speculativa di Dubay.

I bond decennali della Grecia – con rendimenti cresciuti ben oltre quota 9% per la prima volta dall’anno 2001 di ingresso nella zona Euro, e col differenziale rispetto al Bund tedesco di pari durata salito a 682 basis points – sono stati protagonisti delle ultime contrattazioni di Borsa: colpiti dal recente abbassamento drastico del merito di credito (junk) di Standard & Poor’s che, se confermato dai giudizi delle altre agenzie di rating, renderebbe le obbligazioni di Atene come carta straccia ai fini dell’ottenimento di liquidità da parte della Bce, i governativi ellenici devono essere valutati nel contesto che vede protagonisti in negativo i titoli dei rimanenti PIGS, e quindi alla luce degli indicatori della ripresa economica e finanziaria di Eurolandia.

E infatti i numeri di Eurostat indicano rischio stagnazione, dato che l’ufficio statistico dell’Unione Europea ha abbassato le stime del PIL dei 16 Paesi sovrani a livello di “crescita 0” per i prossimi trimestri. Più ottimista l’OCSE, che ha portato le stime di crescita delle 7 maggiori economie dell’Eurozona a quota 1,9% (+0,4%), ma che al tempo stesso ha raccomandato alla Bce di non alzare i tassi di interesse (per le previsioni sui tassi Euribor e Irs si veda http://www.questidenari.com/?p=2530).

In questo scenario originale, gli acquisti delle obbligazioni si spostano dal fronte governativo a quello societario. I corporate bond, complice la revisione di alcune previsioni pessimistiche sul tasso di default di molte società private, sembrano attrarre molto più di quanto si potesse immaginare fino a pochi mesi fa, quando (sempre) S&P aveva lanciato l’allarme sulla scadenza 2010 di molte obbligazioni societarie. Ed invece i segnali di ripresa economica tradotti in risultati delle trimestrali che hanno rafforzato i bilanci e abbassato i debiti, i costi di finanziamento ancora bassi e la domanda interessata, hanno fatto rivedere in positivo le stime iniziali.

Le vendite dei titoli greci si possono motivare anche in questo modo, per quanto è bene sottolineare che all’investitore medio conviene sempre valutare la coerenza del proprio asset di portafoglio con i propri obiettivi di spesa e propensione al rischio, piuttosto che scegliere in base all’emotività del momento. Per chi investe in fondi comuni obbligazionari governativi europei distribuiti in Italia ed Etf, ad esempio, è rassicurante considerare che la percentuale di strumenti finanziari greci si aggira in media tra il 3% ed il 4% del patrimonio complessivo nelle predette forme di investimento, rispettivamente.

Alla luce di quanto esposto, è chiaro che l’ultima asta dei titoli di Stato ha assunto il significato particolare di “prova” dell’affidabilità dell’emittente tricolore.

L’asta del Btp triennale scadenza 15/12/2012 con rendimento lordo annuo a 2,07% (+0,37%), e l’asta del Btp decennale scadenza 01/09/2020 con rendimento lordo annuo a 4,09% (+0,13%), sono da considerarsi soddisfacenti per la richiesta superiore all’offerta. Il Cct scadenza 01/03/2017 ha fatto segnare un rendimento annuo lordo pari a 1,63% (+0,5%).

Rimanendo sulle vicende nostrane, l’effetto Grecia comincia ad essere avvertito pure in Regione Lombardia: l’opposizione accusa il presidente Formigoni di non adottare la necessaria trasparenza in merito alle operazioni di gestione di un fondo ammortamento costituito per la restituzione delle risorse raccolte col bond Lombardia del 2002: 115 milioni di euro del patrimonio del fondo sarebbero stati investiti proprio in titoli di Stato della Grecia dalle banche Merrill Lynch e UBS Warburg, cessionarie a mezzo strumento derivato. In caso di fallimento dello Stato sovrano, l’ammanco verrebbe a gravare sui cittadini della Lombardia.

Fonti web varie: Mornigstar.it (Marco Caprotti, 27.04.2010), Mornigstar.it (Marco Caprotti, 28.04.2010), Mornigstar.it (Mario Portioli), IlSole24Ore.com, IlCorriere.it