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La relazione tra ciclo monetario e capitale di giro – 2

Se considerate il bilancio di un’impresa che iscrive crediti e debiti commerciali al termine di un esercizio in cui ha ottenuto un risultato positivo, e ceteris paribus provate ad accorciare il ciclo monetario (accorciando i tempi di riscossione o allungando quelli di pagamento), vi accorgerete anzitutto che i risultati reddituali sono invariati – in assenza di considerazioni sul reinvestimento delle maggiori risorse ora disponibili (http://www.questidenari.com/?p=479) – mentre quelli finanziari si manifestano con un flusso di cassa più elevato.

Ma il cambiamento del ciclo monetario ha prodotto differenze anche in ordine all’entità del capitale di giro: la diminuzione dei crediti e/o l’aumento dei debiti hanno “ristretto” il circolante, e di conseguenza il capitale complessivamente investito, comportando una condizione di minor fabbisogno che possiamo intendere come una migliorata efficienza del capitale utilizzato – la prima segnalazione di conferma ci viene dall’aumento del Capital Turnover, il cui denominatore più basso relativizza le vendite costanti!

In particolare, giova sottolineare che la riduzione del capitale di giro, e quindi del fabbisogno, è più accentuata nel caso dell’accorciamento dei tempi di riscossione dai clienti rispetto al caso dell’allungamento dei tempi di pagamento ai fornitori, a parità di giorni di dilazione variati per un’azienda che chiude in utile. Il motivo, ovviamente, è da ricondursi alla condizione di equilibrio economico dell’azienda che compra a poco e vende a tanto: meglio diminuire molto i crediti commerciali, piuttosto che aumentare poco i debiti.

(continua http://www.questidenari.com/?p=882)

Quale ciclo monetario? – 3

 

Ma ora veniamo alle discordanti note.

Alcuni autori calcolano i giorni debitori rapportando i debiti commerciali al fatturato.

Che senso ha paragonare fra loro due valori solo lontanamente collegati? Il costo delle materie prime, prima di tradursi in ricavo, deve essere ricaricato in base ai costi relativi a tutti i fattori produttivi che aggiungono valore direttamente, in base alle spese generali e al mark-up! Ciò a dire, tra il costo diretto per soli materiali che origina debito (perché operai e servizi vanno pagati cash, per citare le voci più importanti) ed il prezzo di vendita può esserci un abisso!

Molto più sensato, allora, rapportare i debiti commerciali ai costi operativi che hanno concorso a generare gli stessi debiti – principalmente, acquisti per materie prime.

La formula dei giorni debitori ricalca quella già vista per i crediti (http://www.questidenari.com/?p=658), e si ottiene dividendo il totale dei debiti commerciali iscritti a bilancio (il ciclo monetario è calcolato al 31.12) per gli acquisti dell’anno espressi giornalmente (ovvero divisi per 360) al fine di estrapolare il numero dei giorni di dilazione concessa dai fornitori (in media!) – fra l’altro, vi ricordo che negli acquisti rientrano pure gli interessi passivi su debiti commerciali, i c.d. interessi impliciti (http://www.questidenari.com/?p=479).

Facciamo l’esempio di un’azienda che acquista 3 (Euro) di merce al giorno per tutti i giorni, a fine mese acquista 90 e a fine anno 1080, e paga i fornitori con 60 giorni di ritardo.

A fine esercizio, l’azienda avrà pagato tutti gli acquisti tranne i mesi di novembre e dicembre, ovvero avrà iscritto a bilancio debiti commerciali per 180. Applichiamo la formula descritta:

gg D = debiti commerciali • 360 / acquisti = 180 • 360 / 1080 = 60.

c.v.d.

(continua http://www.questidenari.com/?p=741)

Quale ciclo monetario? – 2

 

Cosa fa allungare o restringere detto periodo di sfasamento fra incassi e pagamenti? (http://www.questidenari.com/?p=645)

La politica delle scorte, perché tanto più si decide di accumulare merce, e tanto più si allontana l’epoca di incasso (e viceversa); il ciclo tecnico, perché tanto più elaborata è la produzione e tanto più si allontana l’epoca di incasso (e viceversa); la dilazione concessa ai clienti, che aumenta i tempi di incasso, e quella concessa dai fornitori che allontana i tempi di pagamento, ovvero restringe il periodo di sfasamento.

Quello su cui non sembra esserci uniformità di giudizio riguarda l’utilizzo di specifici indicatori per i “giorni magazzino” (gg M) e per i “giorni debitori” (gg D).

Il rimanente indicatore dei “giorni creditori” (gg C) – che sommato algebricamente agli altri due fornisce l’agognato numeretto – mette (quasi) tutti d’accordo: prendete il totale dei crediti commerciali iscritti a bilancio (qui il ciclo monetario è calcolato al 31.12), lo dividete per il fatturato annuo espresso giornalmente (ovvero diviso per 360), ed otterrete il numero dei giorni di dilazione concessa ai clienti (in media!).

Un esempio? Immaginate un’azienda che vende 1 (Euro) di merce al giorno per tutti i giorni, a fine mese fattura 30 e a fine anno 360, e si fa pagare dai clienti con 30 giorni di ritardo.

A fine esercizio, l’azienda avrà incassato tutto il venduto tranne il mese di dicembre, ovvero avrà iscritto a bilancio crediti commerciali per 30. Applichiamo la formula descritta:

gg C = crediti commerciali • 360 / fatturato = 30 • 360 / 360 = 30.

Il risultato dell’algoritmo è giusto perché corrisponde ai giorni di ritardo nei pagamenti, ma stressiamolo ulteriormente per sottoporlo a ben altre prove.

Ipotizziamo il doppio del fatturato giornaliero (2 Euro), il triplo della dilazione ai clienti (90 giorni), e ricalcoliamo il tutto al 31 dicembre:

gg C = 180 • 360 / 720 = 90.

La formula si conferma valida perché il suo “cuore pulsante” non è il fatturato mensile (incorporato nei crediti) che a ben vedere si semplifica sempre fra numeratore e denominatore, ma il numero dei mesi di dilazione che aumenta il volume dei crediti commerciali!

(continua http://www.questidenari.com/?p=689)