Archivi tag: cardinale Del Monte

San Giovannino o Isacco salvato? Il Caravaggio conteso della Pinacoteca Capitolina

Le sembianze di un giovanotto che sorride, seduto su un drappo rosso e abbracciato fraternamente ad un ariete con le corna in evidenza, fanno uno dei quadri del genio lombardo dal significato più dibattuto.

Secondo la critica dominante, con toni di maggiore evidenza rispetto ad ogni altra opera pittorica di Caravaggio, la più conclamata dimostrazione di anticonformismo e di insofferenza all’ordine precostituito si rivela nel San Giovanni della Capitolina.

Il Maestro, per raffigurare il Battista profeta della venuta di Cristo, dipingerebbe un suo amico intimo che si offre all’amore fisico, nudo e col volto affiancato alla testa del montone, simbolo di lussuria e perfetto emblema della sovversione del tema classico.

Il riferimento iconografico è rappresentato da uno degli ignudi della Cappella Sistina dipinti dal celeberrimo Michelangelo Buonarroti, alla cui pittura Michelangelo Merisi non poté che guardare con ammirazione e, nel contempo, con atteggiamento di sfida rifacendo una pittura naturalistica e dotta, a modo suo provocante e più che mai caravaggesca.

Ma non giova a questa tesi la riflessione circa il possesso materiale, prolungato nel tempo, di un dipinto indisponente per la sostituzione dell’Agnello di Dio con un montone verace, eppure tanto apprezzato da passare prima nelle mani del cardinale Del Monte e poi in quelle di Papa Benedetto XIV.

Forse la chiave di lettura è più agevolmente delineata dal prof. Rodolfo Papa, sostenitore nella specie dell’interpretazione di un Caravaggio per nulla “maledetto” e perverso anti-cattolico, certo poco utile alla macchina del business che, a partire dalla metà del secolo scorso, ha fabbricato montagne di denaro attorno ad un artista controverso.

Il soggetto del dipinto non sarebbe San Giovanni (mancano, difatti, alcuni espliciti riferimenti fra cui la ciotola e l’agnello) ma Isacco, sorridente perché salvato e seduto sulla pira dove, spogliato, avrebbe dovuto essere sacrificato per sgozzamento. E la pianta che compare sulla destra sarebbe un Verbasum Tapsus, simbolo della Risurrezione di Cristo.

Commissionato da Ciriaco Mattei, uno dei protettori di Caravaggio, il San Giovanni Battista (1601) della Pinacoteca dei Musei Capitolini in Roma può essere ammirato presso le Scuderie del Quirinale (http://www.questidenari.com/?tag=scuderie-quirinale).

Suonatore di liuto: l’amore elegante di Caravaggio per la musica

L’assegnazione in usufrutto a Margherita d’Austria (detta la “Madama”) di un ricco edificio, costruito su un terreno ceduto alla Francia, sancì il passaggio dello stesso palazzo capitolino dalla sfera d’influenza transalpina a quella ispano-austriaca. Malgrado ciò, verso la fine del sedicesimo secolo il cardinale Francesco Maria Bourbon del Monte Santa Maria, imparentato coi Borboni di Francia, riuscì ugualmente a fissare la propria residenza a Palazzo Madama in Roma.

Il cardinal Del Monte, protettore di Caravaggio, probabilmente mise a disposizione dell’artista la camera della musica, una grande stanza del palazzo in cui il pittore trovò molti strumenti, spartiti ed altri oggetti di cultura elitaria che gli permisero di trarre ispirazione e dipingere una delle più famose opere del periodo giovanile, espressione del suo potente naturalismo: il “suonatore di liuto”.

L’attimo di vita vissuta – qui nella presenza del modello preferito Mario Minniti, per quanto il museo dell’Ermitage di San Pietroburgo (che custodisce l’opera) riferisse inizialmente di una donna, tanto il viso è androgino – rappresenta un’usanza in voga già a quei tempi, ovvero il canto accompagnato dalla musica.

Le fonti bibliografiche che, sia pure a tratti, hanno permesso di ricostruire la vita di Caravaggio descrivono vicende rozze, con strascichi giudiziari, spesso culminate in modo drammatico. E invece questo dipinto colpisce per l’eleganza di una cultura sopraffina tanto compresa e apprezzata da Michelangelo Merisi (che, notoriamente, sapeva suonare il liuto) da consentirgli di realizzare, con grande abilità descrittiva, la trasposizione su tela non solo degli strumenti musicali, ma anche della partitura in modo perfettamente leggibile ed eseguibile.

Si tratta di un madrigale, creato dal compositore fiammingo Jacques Arcadelt, intitolato “Amatevi come io v’amo”.

Nella consueta lettura simbolica, la natura morta è costituita dai frutti, dai fiori (dono d’amore), dal violino (l’amore di Caravaggio per la musica), e dal liuto (emblema della musica stessa): quest’ultimo, meraviglioso per la descrizione della nervatura lignea e delle corde, è il vero centro focale di un quadro che deve essere considerato l’omaggio di Michelangelo Merisi all’amore e alla musica.

Risalente al 1595, il “giovane che suona il liuto, con vaso di fiori e frutti” può essere ammirato presso le Scuderie del Quirinale (http://www.questidenari.com/?tag=scuderie-quirinale).

Bacco: le molteplici trasfigurazioni di Caravaggio

La possibilità di fornire diverse interpretazioni di una stessa opera è certamente un punto di forza della pittura di Caravaggio: mai univoco nelle proprie dichiarazioni artistiche, il genio lombardo, già nel periodo che precede la maturità delle commissioni pubbliche, affascina per la capacità di osservare la realtà del tempo che vive e trasferire nei propri dipinti cose e persone caricate di elevato significato simbolico.

Forse commissionato dal cardinal Del Monte per farne dono, anche il Bacco appartenente alla Galleria degli Uffizi rientra in questa ottica: a fare da modello con aspetto languido e sensuale è ancora Mario Minniti, amico intimo di Michelangelo Merisi e già protagonista del “giovane con un canestro di frutti”, qui coronato da meravigliosi pampini d’uva e ritrattato mentre offre il vino nei cristalli, dei quali si apprezza la pittura delicatissima per trasparenze e riflessi. L’allusione è a Dioniso, dio del vino e dell’ispirazione artistica, ma potrebbe anche riferirsi a Cristo che offre il proprio sangue per la salvezza dell’umanità.

Il dipinto è straordinario per la luminosità dell’incarnato e della veste argentea che lo avvolge, contrastati dallo sfondo scuro e completati dall’evidenza e dai colori di una moderna natura morta.

Databile alla fine del ‘500, il Bacco può essere ammirato presso le Scuderie del Quirinale (http://www.questidenari.com/?tag=scuderie-quirinale).

I bari: la realtà colta nell’attimo significativo da Caravaggio

Tra i quadri più noti e celebrati della produzione iniziale di Caravaggio, quella precedente il periodo romano, “i bari” rappresenta una scena di genere ispirata dalle frequentazioni nelle taverne.

Un giovane ben vestito, immerso nel gioco ed ingenuo come il protagonista de “la buona ventura”, non si accorge che i personaggi intorno lo stanno imbrogliando: l’uno suggerisce e l’altro maneggia per estrarre le carte truccate.

Commissionato dal primo protettore di Caravaggio, il cardinale Del Monte, e poi, dopo molti passaggi di proprietà, venduto nel 1899 a seguito del crack della Banca Romana, smarrito e poi ancora ritrovato, il dipinto risalta per la sensibilità descrittiva con cui la bellezza, la gentilezza, la giovane età e l’eleganza dei protagonisti fanno da contrasto alla pochezza morale della scena narrata.

Anche se dal punto di vista tecnico l’opera rivela le lacune di un pittore autodidatta, “i bari” ci consente di apprendere il percorso evolutivo artistico di Michelangelo Merisi che, invece di cominciare dal disegno, iniziava a dipingere l’ambiente circostante e poi completava la rappresentazione costruendo i personaggi in primo piano. Per l’Artista, la ricerca dell’attimo cruciale non lascia spazio alla realtà ininfluente, come sta a dimostrare lo sfondo vuoto.

Anch’esso di attribuzione certa, “i bari” (1594 circa) del Kimbell Art Museum di Fort Worth (Texas) può essere ammirato presso le Scuderie del Quirinale (http://www.questidenari.com/?tag=scuderie-quirinale).

Canestra di frutta: la natura morta secondo Caravaggio

Forse ricevuta in dono dal cardinal Del Monte, la proprietà della “fiscella” di Caravaggio fu poi trasferita dal dotto cardinale Federico Borromeo (figura di cui ci parla Manzoni nei Promessi Sposi) all’Accademia ambrosiana di Milano, sempre a titolo gratuito. Ad oggi la critica non ritiene che la mancanza di un corrispettivo pattuito possa essere stata imputata alla cattiva reputazione alimentata dal comportamento del pittore, dato che in ogni caso il cardinal Borromeo lasciò testimonianza scritta di grande considerazione per l’opera.

La “canestra di frutta” costituisce una pietra miliare nella storia dell’arte: Caravaggio, a differenza degli artisti che lo avevano preceduto, non usa la natura per farne paesaggio a sfondo della scena descritta, ma rappresenta i personaggi reali o le presenze ideali a mezzo della natura, i cui frutti racchiudono elevato valore simbolico.

Accanto agli appetibili fichi e al limone, l’uva nera e bianca invitante che strabocca dal cesto, in parte matura oltre il giusto grado, la mela bacata o la pera corrotta, e le foglie appassite sulla destra della cesta in “disequilibrio”, su un piano di appoggio non meglio definito e senza uno sfondo, assurgono a simbolo di vita e di morte umana, in contrasto fra loro come contraddittoria era stata e rimarrà la personalità di Caravaggio.

La descrizione non di uno stato, ma di una trasformazione della materia che invecchia e si deturpa, e quindi della forza umana che si fa debolezza, è senza dubbio il tocco più geniale tra quelli che Michelangelo Merisi mette in quest’opera ritenuta la prima creazione in ordine cronologico. Anch’essa di attribuzione certa (http://www.questidenari.com/?tag=scuderie-quirinale), la “fiscella” potrà essere ammirata a Roma presso le Scuderie del Quirinale.