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L’effetto Grecia e Paesi periferici su tasso base, cambio e inflazione

In pochi si sono accorti che giorni fa Dubai World ha raggiunto un accordo di rinegoziazione del debito, quello che stava per esplodere a novembre 2009 rischiando di coinvolgere gli attivi delle banche europee e sconvolgere il sonno di quanti pensavano alla seconda versione del fallimento Lehman Brothers.

Allora i mercati azionari di tutto il mondo reagirono assai malamente, così come oggi la volatilità accentuata delle quotazioni scaturisce dalle notizie sull’affidabilità degli Stati sovrani europei che rendono convulse le contrattazioni.

Divisi sulle strategie economiche di integrazione degli Stati membri, solo nel momento di crisi i Paesi europei hanno saputo trovare la via della partecipazione alla realizzazione di meccanismi sovranazionali di garanzia, iniziale avvicinamento ad una politica fiscale concertata che possa procedere assieme alla politica della moneta unica.

Anche la Bce ha iniziato ad apportare sostegno al processo di integrazione, partecipando con l’acquisto di obbligazioni sovrane in cambio di liquidità, e pretendendo l’impegno alla riduzione del deficit pubblico da parte dei Paesi aiutati. La mossa, tuttavia, non aumenterà la quantità di moneta presente nel sistema economico-finanziario perché sarà accompagnata dalle operazioni di sterilizzazione: detti acquisti vengono finanziati attraverso la vendita o l’emissione di altri titoli da parte della stessa Banca Centrale, e le masse monetarie immutate assicurerebbero tutela contro il rischio di repentine impennate dei prezzi.

Al tempo stesso, la domanda interna fiacca degli Stati membri non lascia presagire fenomeni inflazionistici, motivo per cui ci si attende che la Bce persista nel mantenere inchiodato al minimo storico il tasso base; e se dall’altra parte dell’oceano la Federal Reserve dovesse decidere per un incremento dei tassi motivato da previsioni economiche più rosee delle nostre, il differenziale di tasso attirerebbe capitali negli Usa e rafforzerebbe ulteriormente il dollaro contro l’euro, oltre a far sentire il proprio effetto in termini di diminuzione del prezzo delle materie prime.

Fonte: MilanoFinanza.it

Il piano Ecofin normalizza adesso i mercati azionari e delle obbligazioni pubbliche. E domani?

Che la situazione rivestisse carattere di eccezionalità non poteva sfuggire.

Le quotazioni a picco nelle chiusure di Borsa della settimana scorsa, la speculazione, l’errore umano al sistema telematico di contrattazione, i debiti preoccupanti degli Stati sovrani, il monito dell’agenzia di rating, la Grecia sull’orlo del baratro: tanti fattori contribuivano a sollecitare un intervento, operato dalle istituzioni europee a difesa della moneta unica, urgente e – rovescio della medaglia – non propriamente frutto di programmazione sistemico-finanziaria.

Dopo una domenica senza riposo, il maxi piano varato dall’Ecofin, attraverso un meccanismo di assistenza finanziaria a vantaggio degli Stati membri col debito pubblico esuberante, ha stabilito l’utilizzo di prestiti bilaterali dai Paesi e l’intervento della Bce che potrà acquistare le obbligazioni pubbliche. La misura si somma ai 110 miliardi di euro stanziati subito da Paesi membri e Fondo Monetario Internazionale a favore della Grecia, che dovrà seguire una condotta di politica fiscale molto rigida (fonte: IlSole24Ore.com).

Prima Tokio, poi tutte le piazze europee hanno vissuto la giornata di lunedi in maniera euforica: il Ftse Mib ha chiuso a +11,3%, sospinto dagli stessi bancari che lo avevano affossato la seduta prima come Intesa Sanpaolo (+19%) e Unicredit (20,9%); Parigi a +9,6%, Madrid addirittura al 14% (fonte: IlSole24Ore.com).

Ma la notizia forte si è avuta alla conferma che la Banca Centrale Europea sta avviando un programma di acquisto di titoli di Stato, emessi per contenere la crisi: e così, anziché drenare l’abbondante liquidità dal sistema economico-finanziario, la Bce contribuirà ad aumentarne la consistenza, alimentando tensioni inflazionistiche che però, nel breve termine, non preoccupano gli economisti. Sembrano così allontanarsi i tempi della risalita dell’Euribor, che ieri non è aumentato per nessuna scadenza.

L’effetto immediato, ad ogni modo, è stato positivo sul mercato secondario (così detto per distinguerlo dal primario dove si negoziano titoli di prima emissione): i bond dei Paesi periferici hanno visto in ribasso i loro rendimenti, coi greci a scadenza 3 anni scambiati a 8,8% ed i quinquennali a quota 8,31%.

Stessa sorte per i Btp, che a 3 anni perdono lo 0,63% (trattati al 2,01%), a 5 anni lo 0,48% (trattati al 2,78%), e a 10 anni 28 basis points (trattati al 4%).

L’effetto riequilibratore, in abbattimento dei differenziali di rendimento, si è fatto sentire anche sui titoli “sicuri” tedeschi e francesi: il Bund a 3 anni riprende lo 0,14% salendo allo 0,9%, il Btan torna all’1% (fonte: IlSole24Ore.com).

Trichet non modifica i tassi. La paura cambia i rendimenti dei titoli di Germania e Grecia

Sempre appropriato al minimo storico dell’1% il costo del denaro; sempre moderata, discontinua ed incerta la ripresa economica; sempre moderata l’inflazione attesa nei mesi a seguire.

Rimane uguale la fotografia che Trichet ed il consiglio direttivo della Bce scattano all’Eurozona da diversi mesi, con la differenza che stavolta il presidente deve sottolineare di non aver trattato compiutamente questioni sul debito degli Stati sovrani, né eventuali procedure di insolvenza (fonte: IlSole24ore.com), ad eccezione dell’esenzione dai requisiti minimi di rating per lo Stato ellenico, con riferimento ai collaterali a garanzia dei prestiti ottenibili dall’istituto centrale.

Al momento, la situazione appare troppo delicata per far scaturire decisioni produttive di effetti sulle politiche governative degli Stati membri, sulle quotazioni delle piazze finanziarie e sul dramma di un popolo che da ieri ha iniziato a contare le proprie vittime della rivolta.

Al centro delle preoccupazioni sta la Grecia, col suo fabbisogno di 150 miliardi di euro fino a tutto il 2012, di cui 8,5 miliardi in scadenza fra meno di 2 settimane. Il piano di aiuti, pur risolvendo il problema più urgente, si basa sull’assunto – forse troppo ottimistico – che nel 2011 Atene possa tornare a finanziarsi sul mercato dei capitali.

Di sentimento opposto, la cancelliera tedesca Angela Merkel – che di fronte al Bundestag ha difeso il piano di sostegno alla Grecia, ma ha pure sollecitato una revisione del Patto di Stabilità dell’Unione Europea che obblighi i Paesi ad un maggiore rispetto dei vincoli di bilancio pubblico – ha affermato che è necessario aiutare lo Stato ellenico perché “ne va del futuro dell’Europa”.

Ciò nonostante, l’isteria si è abbattuta sulle Borse europee originando comportamenti imprevedibili, come sempre accade in queste occasioni: l’euro che sembrava riprendersi per poi farsi sempre più debole nel cambio col dollaro, il barile di petrolio Wti con consegna a giugno sceso questa mattina a 78,87 dollari dopo la caduta di ieri, e, per la prima volta, la manifestazione del fenomeno di decoupling (opposta direzione tra le Borse europee e quelle americane) riguardante il solo “vecchio continente”, col segno meno che colpisce in maggior misura i Paesi periferici rispetto a quelli dell’Europa centrale e della City.

Sul fronte bond, ieri ha continuato ad accentuarsi il divario tra il rendimento dei Titoli di Stato della Germania (prima di risalire, il bund decennale era giunto al 2,88% per la corsa ai beni rifugio) ed il rendimento dei Titoli di Stato della Grecia (salito al 10,27%), conseguenza della paura del “contagio” a cui stamattina anche Moody’s ha contribuito.

L’agenzia di rating internazionale (quella dell’egregio giudizio espresso a favore di Lehman Brothers, il giorno prima che fallisse – ha ricordato oggi l’ex Presidente del Consiglio dei Ministri, il prof. Romano Prodi) ha indicato anche l’Italia, oltre a Portogallo, Spagna, Irlanda e Gran Bretagna, tra i Paesi col sistema bancario a rischio: ne sarebbe causa l’agevole trasmissione delle paure, provenienti dai mercati, per l’abbassamento del rating sovrano, oltre che la minor esposizione al rischio di scoppio delle bolle speculative e agli strumenti finanziari strutturati.

Rendimenti Bot semestrali e Ctz (1,753%) in rialzo, Fondiaria Sai sotto la lente: l’Italia ha paura della Grecia

Non accadeva da aprile dell’anno scorso che i più apprezzati titoli governativi di casa nostra subissero un’impennata di queste proporzioni: all’asta del 27 aprile 2010, i Bot a scadenza 6 mesi hanno fatto segnare un rendimento annuo lordo dello 0,814%, in forte salita rispetto allo 0,567% di fine marzo (fonte: IlSole24Ore.com).

Merito (o colpa, a seconda dei punti di vista) della domanda, in questa circostanza non proprio esorbitante, appena in grado di coprire l’offerta che era stata appositamente ridotta rispetto all’ammontare dell’ultima tranche di titoli in scadenza: la strategia del Tesoro, attuata già da mesi, mirava a tenere bassi i rendimenti (per la successiva asta del Tesoro – emissioni di Cct e Btp a 3 e 10 anni – si veda http://www.questidenari.com/?p=2518).

Ma i numeri dicono che ciò non è stato sufficiente, come pure non è bastato che la notizia del declassamento di Standard & Poor’s per i titoli del debito greco e portoghese venisse annunciata qualche ora dopo la chiusura dell’asta: la paura degli operatori di mercato manifestata verso tutti gli emittenti “periferici” dell’Eurozona – Portogallo, Irlanda, Grecia soprattutto e Spagna – deve aver contagiato anche il Belpaese, danneggiato dal “volo verso la qualità”. Non a caso giorni fa l’acronimo PIGS era divenuto PIIGS, per poi tornare alla prima versione a denunciare la mutevolezza del sentiment sull’Italia.

In attesa che i colloqui fra Trichet, Merkel e gli attuali protagonisti della tragedia greca giungano a rapide conclusioni sul piano di salvataggio del governo di Atene, dichiaratosi incapace di autofinanziarsi sul mercato per via dei costi troppo elevati, la psicosi scatenata dai giudizi di Standard & Poor’s (che ha declassato a “spazzatura” i bond del paese ellenico ed ha abbassato ieri pure il rating della Spagna) ha già creato sufficienti sconquassi nei mercati azionari, con la sola eccezione di Wall Street nella chiusura di mercoledi.

Gli analisti cominciano a sezionare i bilanci societari alla scoperta del grado di inquinamento dovuto alla presenza dei Paesi a rischio, come nel caso di Fondiaria Sai e della sua controllata Milano Assicurazioni (fonte: MilanoFinanza.it).

Il bilancio civilistico 2009 dice che l’esposizione totale ai bond della Grecia ammonta a 532,8 milioni di euro (esattamente il 3,1% dei titoli obbligazionari complessivamente detenuti in portafoglio della sola Fondiaria Sai), mentre i titoli governativi portoghesi e irlandesi “pesano” 135,8 milioni di euro cumulati. La quota di bond a rischio sarà stata saggiamente ridotta dai manager del gruppo assicurativo nel corso del 2010?

Ritornano i bond

 

Le statistiche aggiornate alla prima metà del mese di gennaio mostrano il comportamento sorprendente degli investitori che sono tornati ad acquistare titoli obbligazionari societari compresi quelli legati ai mutui.

Il caso più paradossale è quello di Tyco International che ha visto diminuire il prezzo del suo titolo azionario a Wall Street e contemporaneamente salire quello del titolo obbligazionario sospinto dagli acquisti. Come se i soldi destinati dai risparmiatori finissero in due casse diverse!

Nonostante le stime di Moody’s prevedano che nel 2009 il 15% delle società emittenti diverranno insolventi come la Parmalat, l’attenzione crescente per i bond è un dato di fatto che non pochi analisti stanno cercando di interpretare.

L’ipotesi più affascinante è che i rendimenti di questi titoli si trovino ad un livello più elevato di quello che si prevede possano raggiungere i titoli azionari nell’attuale contesto di mercato. Se così fosse, tutto ciò avrebbe ripercussioni sulle attese di remunerazione della proprietà societaria innescando una corsa al rialzo del costo del capitale per aziende che si troverebbero “obbligate” a creare sempre più ricchezza per sopravvivere.