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Adorazione dei pastori: l’apparente serenità negli anni tormentati di Caravaggio

La rappresentazione quieta e dolce di questo attimo di devozione messo in scena da Caravaggio, oggi presso il Museo Regionale di Messina, nasconde significati più profondi di quanto possa comunicare la sua apparente semplicità.

Dipinto nel penultimo anno di vita su commissione del senato di Messina per la cifra favolosa di oltre mille scudi, l’Adorazione dei pastori del 1609 ripropone la ricerca stilistica delle opere precedenti e la fonde con l’uso degli spazi vuoti. Nuovamente, la paura del pittore condannato a morte si trasmette nell’opera, qui nell’espressione della Vergine rannicchiata a protezione del Bambino.

Con una soluzione simile a quella delle linee sperimentate nel Martirio di San Matteo, le diagonali della croce luminosa, disegnata dalla figura di Maria e dalla “discesa” dei pastori così mirabilmente definita, si pongono con evidenza a contrastare la tettoia e le restanti pareti, sfondo scuro e quasi incompiuto dell’opera.

Completano il dipinto gli elementi della natura morta raffigurati dagli strumenti del falegname e dai fili di paglia, un’altra costante di tutte le opere di Michelangelo Merisi che, a parere della critica, sarebbero completamente assimilabili alle nature morte, senza esclusione degli stessi personaggi ritrattati.

Oggetto di recente restauro, l’Adorazione dei pastori è attualmente in mostra presso le Scuderie del Quirinale (http://www.questidenari.com/?tag=scuderie-quirinale).

Davide con la testa di Golia: il pentimento di Caravaggio

Dipinto nel 1610 ed oggi appartenente alla Galleria Borghese di Roma, forse il “Davide con la testa di Golia” entrò a far parte della trattativa per l’ottenimento della grazia: così troverebbe motivazione la grossa somma di denaro versata a titolo di cauzione da Michelangelo Merisi al fine di sottrarsi all’arresto per errore, recuperare l’opera tra i bagagli dell’imbarcazione che lo aveva condotto da Napoli alle coste laziali, e destinare la stessa opera al cardinale Scipione Borghese.

Di sicuro ultima grande manifestazione della potenza espressiva di Caravaggio diretto a Porto Ercole dove troverà la morte, il dipinto sintetizza molte delle caratteristiche già apprezzate del Maestro milanese, e nel contempo si presta ad una profonda interpretazione psicologica non propriamente agevole.

Sono presenti la luce che investe trasversalmente ed essenzializza il corpo del giustiziere (http://www.questidenari.com/?tag=luminismo-caravaggesco) emerso dall’ombra, la mancanza di uno sfondo, il simbolo negativo di Golia che assume i lineamenti di Caravaggio, sfigurato ed orrido nella rappresentazione realistica del macabro trofeo.

Ad una prima osservazione del dipinto, l’attenzione si sofferma sulla testa dello sconfitto con gli occhi strabici e fuori dalle orbite, la bocca spalancata e la ferita sulla fronte che riconducono alle comprensibili ansie patite dal pittore per la condanna a morte inflittagli dal papa, e che già aleggiavano nell’atmosfera cupa delle precedenti opere (http://www.questidenari.com/?p=2181), o addirittura si collegano ai ripetuti ferimenti per il riconoscimento e le aggressioni subìte dalle guardie e dai sicari.

Eppure, un’ulteriore e più approfondita lettura fanno riflettere sul vero fulcro della rappresentazione rintracciabile nell’espressione del volto di Davide, un giovane che non appare orgoglioso o iracondo ma triste e pacato, intento nella pia esecuzione di un volere superiore, demandato ad un incarico più grande della sua grandezza interiore vincente sulla forza fisica del gigante.

Caravaggio si offre ai propri giudici e giustizieri nell’atto di riconoscere il proprio errore ed accettare la volontà della giustizia terrena, da cui si congeda preannunciando la propria fine.

Anch’esso di attribuzione certa (http://www.questidenari.com/?tag=scuderie-quirinale), il “Davide con la testa di Golia” può essere ammirato a Roma presso le Scuderie del Quirinale.