Archivi categoria: Investimenti borsistici

Anche Moody’s contro i Bot

moodys vs botNon farebbe neanche notizia la nuova discesa dei rendimenti dei titoli pubblici che porta i Bot semestrali al minimo storico dell’1,07%, causa la richiesta forte nell’asta di lunedi scorso (fonte: Ilsole24ORE).

Eppure, stavolta, un dato concomitante induce a riflettere sulla motivazione alla base della scelta di nuovo massiva degli operatori sui Buoni del Tesoro: la conferma del rating “Aa2” assegnato da Moody’s all’Italia (fonte: News24).

Il giudizio positivo espresso dall’agenzia di rating sul rischio Paese discende da considerazioni sui dati di natura quantitativa e qualitativa che riflettono la buona capacità del nostro Stato di adempiere alle proprie obbligazioni, ovvero alle possibilità di restituzione dei soldi ricevuti in prestito.

Tra i punti di forza dello Stivale vi sarebbero un’economia solida e diversificata per settore (per quanto in crescita ad un tasso inferiore a quello di altre economie, complice una produttività non ottimale), ed un alto reddito medio pro-capite dei cittadini (per quanto il loro risparmio si traduca principalmente in debito pubblico), mentre tra i punti di debolezza vi sarebbero l’elevata pressione fiscale (aggravata dall’evasione fiscale diffusa) e l’elevato costo del lavoro (collegato, addirittura in contraddizione, a bassi livelli salariali che non spingono i consumi).

Moody’s valuta con favore l’intervento dello Stato a sostegno delle banche esercitato attraverso la creazione dei Tremonti bond (http://www.questidenari.com/?p=333) in un contesto recessivo che mette a repentaglio i crediti vantati (per quanto un eventuale ricorso al finanziamento pubblico aggraverebbe ulteriormente il bilancio statale), e non esclude un futuro aumento dei tassi d’interesse causato dai maggiori spread richiesti sui titoli del Tesoro per via dei rischi connessi al probabile peggioramento del rapporto Deficit/PIL.

Con la speranza che le previsioni dell’agenzia siano più fondate di quelle che nel recente passato indussero i suoi analisti ad esprimersi su Lehman Brothers, teniamoci stretti questi rendimenti.

Le aspettative sui tassi

Le parole del ministro Tremonti prima, espresse nel corso di una trasmissione televisiva dell’emittente pubblica, e poi del presidente Confindustria Marcegaglia dichiarate durante l’assemblea degli industriali di Cremona (fonte: www.ilsole24ore.com), hanno il comune denominatore della statistica basata sulle rilevazioni empiriche più recenti.

Entrambi hanno fatto riferimento al rallentamento – registrato sia nel nostro Paese che a livello mondiale – della caduta degli ordini e del fatturato che riguarda i principali settori economici, e di conseguenza alla speranza che il peggio della crisi economica e finanziaria sia ormai passato. A supporto delle proprie asserzioni sulla fine della grande paura, Tremonti ha citato pure gli interventi governativi a sostegno dell’economia americana, con evidenti riflessi sulle scelte nostrane operate dal Ministero dell’Economia in materia dei c.d. Tremonti bond (http://www.questidenari.com/?p=333).

Gli ultimi dati sul traffico e sul commercio, così come recepiti dagli operatori di Borsa, si sono tramutati nel senso di un’inversione di tendenza sui tassi che ha finito per coinvolgere anche l’Euribor, il tasso interbancario a cui guardano con attenzione coloro che hanno contratto un mutuo casa a tasso variabile.

Se è vero che la settimana scorsa ci siamo trovati di fronte a segnali ancora timidi, è altrettanto vero che gli ultimi rialzi dell’Euribor a un mese hanno indotto gli analisti a ritenere prossima la fine della parabola discendente dei tassi.

Ma se il Centro Studi Confindustria indica difficoltà ancora per qualche mese, e i governi nazionali maggiormente alle prese con interventi a sostegno del sistema economico-finanziario dichiarano che l’economia globale ancora non fornisce indicazioni attendibili di uscita dalla crisi, le previsioni di ripresa delle Borse sono da considerarsi eccessivamente ottimistiche?

O forse, come qualcuno ha dichiarato, le aspettative degli operatori sono sempre esagerate in un senso o nell’altro, e il passaggio dal catastrofismo all’euforia è piuttosto repentino.

La BCE e le montagne russe

   La Banca Centrale Europea continua ad abbassare i tassi di interesse: il costo del denaro scende all’1,25% ma la mossa non sembra essere stata bene accolta dalle principali piazze finanziarie, che rallentano il loro andamento rispetto ai corsi in apprezzabile crescita della mattinata odierna.

La reazione immediata delle Borse è ovviamente dovuta alle aspettative di taglio dei tassi che gli operatori quantificavano in misura più vigorosa nell’ordine dello 0,50% (fonte: www.ilsole24ore.com), aspettative indotte pure dall’entità dell’ultima manovra (http://www.questidenari.com/?p=232) che fa “storico” nella mente degli operatori.

L’effetto negativo fatto registrare sui listini si deve al perseguimento di una strategia di variazione dei tassi che non ha caratteristica di moderazione (c.f.r. penultimo taglio e politica fine tuning http://www.questidenari.com/?p=147) né si presenta uniforme nel tempo. Si aggiunga che lo stesso Trichet, in concomitanza alla mossa dell’Eurotower, afferma che i tassi ricominceranno a salire a metà anno – è un chiaro avvertimento ai possessori di titoli di Stato che sono invitati a rimettere in circolazione la moneta cedendo le loro obbligazioni (http://www.questidenari.com/?p=400).

Attenti ai BTP!

Buoni del tesoroCome già avvenuto negli Usa, dove le massicce emissioni di bond governativi aggravano il deficit di bilancio, anche in Europa gli interventi a sostegno dell’economia di Stato e del sistema creditizio finiscono per appesantire i conti pubblici (http://www.morningstar.it/it/funds/article.aspx?articleID=78397&categoryID=417&lang=it-IT).

La percezione che ne segue di aumentato rischio di insolvenza, ovviamente, accresce il premio per il rischio assunto dagli investitori di titoli governativi italiani e greci, i cui emittenti allo stato attuale si posizionano nell’eurozona  come i più distanti dai benchmark “virtuosi” di Germania, Olanda e Francia.

In questo quadro generale, le future e prevedibili emissioni massive di bond governativi non possono far altro che abbattere i prezzi dei titoli e, per via della nota relazione inversa (http://www.questidenari.com/?p=80), spingere verso l’alto i rendimenti. Gli operatori di Borsa aggiungono che le impennate ultime dei listini azionari soffiano sul fuoco spostando l’attenzione degli investitori su mercati notoriamente più ricchi di emozioni rispetto a quelli obbligazionari (http://www.morningstar.it/it/lnp/article.aspx?lang=it-IT&articleid=78834&categoryid=426): ma è pur vero che il trasferimento di ricchezza fra comparti non è automatico né, soprattutto, matematico, ma piuttosto umorale e quindi effimero.

Con tutte le conseguenze del caso a cui sono interessati in particolar modo i titolari di obbligazioni a tasso fisso su scadenze lunghe come i detentori di Buoni Poliennali del Tesoro, ed in generale coloro che, cercando la sicurezza dei titoli di Stato, si assumono inconsapevolmente una parte di “rischio Paese” e trovano tassi non certo esaltanti, specie sulle scadenze brevi, la strategia corretta potrebbe essere quella di liberarsi al più presto dei vecchi BTP in portafoglio, ovvero anticipare il mercato e monetizzare in attesa delle prossime opportunità!

La sicurezza all’asta

 

E continua la discesa dei rendimenti dei titoli di Stato sulle scadenze brevi: BOT e CTZ, di nuovo, non consentono di recuperare l’inflazione.

Le cause sono rintracciabili nei forti volumi di domanda dettati dal bisogno di tranquillità, oggi avvertito in misura maggiore rispetto al desiderio di guadagnare, e nelle attese di ribasso del costo del denaro fissato dalla BCE, forse nella misura dello 0,5% già a partire dalla prossima riunione di marzo.

Giochi pericolosi

 

Ultimamente sentiamo parlare e leggiamo di derivati quando si solleva l’immancabile polverone per gli avvisi di garanzia nei confronti di esponenti bancari che hanno fatto stipulare contratti ai comuni per la ristrutturazione del debito di enti pubblici, come è accaduto recentemente a Milano.

Altre volte, in televisione, abbiamo assistito a interi programmi dedicati alle vicissitudini di qualche imprenditore ritrovatosi privo del fido bancario e gravato dai debiti perché, inconsapevole di cosa stesse sottoscrivendo, in passato aveva accettato che questa particolare forma di strumento finanziario finisse iscritta nei bilanci della propria azienda in cambio dell’apertura di una linea di credito.

Ma si tratta proprio di una truffa? Esattamente, cosa sono questi derivati?

Immaginate di fare una scommessa con un’altra persona: dietro pagamento di un corrispettivo, ad esempio, vi accordate su un valore massimo che un determinato indice potrà raggiungere; se in futuro tale valore non sarà raggiunto, pagherete il corrispettivo ed una somma di denaro proporzionale all’indice, se invece si verificherà il caso opposto di superamento, dovrete limitarvi a pagare il corrispettivo e la somma di denaro associata all’indice massimo predeterminato, mentre il sovrapprezzo rimarrà a carico della vostra controparte.

Messa così, la definizione di un derivato somiglia a quella di una polizza assicurativa contro i rischi, più che ad un investimento rischioso, ed in effetti questo accade nel caso dell’Interest Rate Cap applicato ai mutui sugli immobili, ove la quota interessi della rata da corrispondere alla banca per un finanziamento a tasso variabile è limitata ad un prefissato tetto massimo in cambio di un ricarico maggiore sul tasso base (il “premio” dell’assicurazione).

Il problema è che poi, con l’introduzione di una serie di sofisticati meccanismi finanziari che non è il caso di approfondire in questa sede, le potenzialità tecniche dei contratti derivati sono state sviluppate a tal punto da farli diventare non solo strumenti moltiplicativi del rischio, capovolgendone il significato appena descritto, ma addirittura congegni di ingegneria finanziaria così complessi da sfuggire alle capacità di controllo e comprensione dei loro ideatori!

Come qualcuno ha detto, non si ha notizia di un contratto derivato (leggasi “scommessa”) che si è risolto a favore dell’investitore e a danno della banca, come sarebbe normale in un qualsiasi gioco a premi in cui uno vince e l’altro perde, scambiandosi i ruoli nel tempo. Questo non significa che il direttore abbia voluto ingannare il proprio cliente proponendogli un gioco “truccato”, dato che nella maggior parte dei casi neppure lui stesso era in grado di sapere con cognizione di causa cosa stesse suggerendo ma, semplicemente, si è limitato a collocare un prodotto secondo una politica di budget imposta “dall’alto”: anche le banche, come qualsiasi attività a scopo di lucro, hanno bisogno di vendere.