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Coge e flussi finanziari

 

Possono le alchimie contabili influenzare la produzione di effettivi flussi di cassa in azienda?

Chi si trovasse a rispondere a questo interrogativo ex abrupto, probabilmente si esprimerebbe in senso negativo: come è noto, la contabilità generale rappresenta solo un modo (stabilito dalla legge) per rappresentare le vicende aziendali e comunicarle a terzi soggetti. Come a dire: posso esprimermi diversamente, ma il contenuto delle mie parole non cambia.

Eppure, si pensi alla possibilità lasciata al contabile di creare una qualsiasi voce soggetta a partita doppia, alla discrezione nell’utilizzo del codice tributario per l’iscrizione del magazzino nel bilancio, ai c.d. costi rinviati rappresentativi dei lavori interni e delle immobilizzazioni in corso, o alla scelta dei tempi di ammortamento dei cespiti (sia pur limitata nei recenti orientamenti legislativi): l’elasticità che il nostro legislatore consente in ordine alla rappresentazione dei fatti gestionali produce variazioni contabili nel risultato d’esercizio che poi si traducono in variate possibilità di auto-finanziamento effettivo.

Si prenda ad esempio proprio il caso, estremamente comune, della quota annua di ammortamento: essa decurta l’utile di periodo al 31.12 che costituisce la grandezza economica normalmente più rilevante in termini di contributo alla creazione di cash flow periodale, dato che rientra nel computo del flusso della gestione corrente ovvero rappresenta l’elemento chiave (tipico) per la produzione di liquidità da utilizzare per i nuovi investimenti nell’esercizio successivo, nell’eterno susseguirsi di acquisti e vendite.

Una maggiore quota di ammortamento implica principalmente che l’anno dopo ci saranno meno tasse da versare allo Stato e meno dividendi da ripartire tra i soci, e cioè meno uscite monetarie, ovvero comporterà il trattenimento di maggiore liquidità nelle casse aziendali da destinare agli investimenti produttivi, fermi restando i medesimi fatti gestionali risalenti al periodo amministrativo precedente.

After Activity Based Costing

 

The more and more common awareness of the lack of a precise procedure useful for costing allocation made financial advisors consider other solutions.

Instead of selecting best drivers, managers have to set in the strongest action for reducing overheads: that only means indirect labor costs are transformed into direct costs.

In particular, blue collars (or staff working to a specific project) should fill in a scorecard where their activity – tied to a number of products – is promptly entered in terms of tipology, number of hours spent, destination, etc. That’s the so called “time reporting”.

As long as managers have to do their best to implement the highest organizational strength, workers will be requested to have daily care of exact records.

At the same time, some managers wouldn’t be able to streamline Cost Accounting System because of the alone consideration of the labor costs: if controller had to allocate other overheads such as workplaces, machineries or services, he would be allowed to overlook things – according to their minor importance compared to total expenditure – or choose again between traditional full costing and ABC.

Traditional full costing vs ABC /2

 

A lot of financial advisors has been searching for the best practice of allocation for many years: they didn’t consider “traditional full costing” as a scientific method, so something new had to be made up.

The approach called Activity Based Costing considers business as the sum of many activities: unlike traditional full costing, business is considered in horizontal manner because every activity adds a piece of value on to the product.

At first, the controller must choice a number of activities that represent the utilization of inputs, the consumption of which has accounted for the indirect costs.

Secondly, controller’s choice directs overheads to every activity: the best distributive key must be chosen.

Finally, controller must choose the so called cost drivers, because the total of costs referred to each activity needs to be allocated to each product.

Everybody can see that managers enforce this method with using much discretionary power as it was when they used traditional methods.

No difference for using discretionary power, and no difference for necessary carefulness – what’s the best method?

After having used both methods, nobody has demonstrated a relevant gap between traditional full costing and ABC, because each one could be accurate or inaccurate, easy or complicated, fast or slow, cheap or expensive: it all depends on the accuracy used by controller who decides the amount of money and time that has to be spent chance by chance.

Traditional full costing vs ABC /1

 

Long time ago, the main concern for manufacturing companies was to minimize high levels of standard costs due to massive production.

Since the beginning of 1990s, the quick development of communication systems has created the so called “global village” and pushed every company to add something particular to its products.

Differentiation, requested by people living everywhere, has modified the way of thinking about cost allocation: no matter how painstaking you are when computing direct costs for materials and blue collars, but the increasing importance of overheads, more than 50% of the total expenditures, has made managers search for the best accounting procedures in order to realize an effective allocation.

At first, traditional full costing seemed to provide the best practice.

Some real and abstract accounting entities are made up, each one related to a particular activity producing goods (direct cost centers) or services for the same goods (indirect cost centers). Every center will be charged for direct and overhead costs according to the real consumption of input (direct costs), and according to the subjective choice of a distributive key selected for the specific cause-effect relationship (overheads).

The next step involves the closing of indirect cost centers through allocation of their costs added on to direct centers: managers are again requested to choice an appropriate key.

Finally, if a direct center produces two or more goods, the last allocation will be made by splitting the total expense.

Full costing method is considered traditional because it looks at the product in a vertical way, adding costs piece after piece in conformity with organizational structure – functions of production, selling and administration.

Many financial advisors do not consider this method updated, and they think it is affected by a high degree of discretionary power related to the choice of the keys for allocation.

On the other side, the choice of a single key (or few keys) helps managers make faster their task, and everybody knows that “time is money, and money is time”!

So, traditional full costing has been considered not only a non-scientifically based method (because it is based on the personal capability of the single manager), but even a hurried way to fix problems in cost accounting.

ROI vs interessi impliciti

 

Prendo spunto dall’ultimo post del mio Staff (http://www.questidenari.com/?p=454), che accennava all’atteggiamento diffuso degli imprenditori nei confronti dell’IVA, per inaugurare questa nuova categoria con un argomento difficilmente reperibile in letteratura.

Per quale motivo molti imprenditori sono portati a “trattenere” nelle loro casse più liquidità possibile, facendo riferimento all’Erario, ai fornitori, alle banche, e persino (indebitamente) ai dipendenti?

Perché essi, facendo affidamento sui tassi di ritorno delle loro attività che di norma sono alti, sono consapevoli di restituire soldi pagando interessi passivi inferiori, in percentuale, ai propri ritorni, ovvero ne lucrano la differenza.

Vediamo un esempio        

        Hp 1 (autocrazia): se a inizio gennaio un imprenditore dispone di liquidità pari a 100 (Euro) che investe in fattori a fecondità semplice da trasformare in prodotti finiti, a fine mese incasserà 102 dalla vendita dei suoi beni. Ogni mese l’imprenditore ripete la medesima operazione.

        Hp 2 (ricorso al fornitore): la situazione alternativa a sua disposizione è rappresentata dal ricorso alla dilazione di pagamento a 30 giorni concessagli dal fornitore di materie prime che chiede interessi impliciti, pari ad 1, sul valore delle materie stesse. A fine gennaio, l’imprenditore tornerà dal fornitore per estinguere il proprio debito in termini di capitale prestato ed interessi passivi, trattenendo la differenza tra il ricavato dalla vendita ed il debito in scadenza, e rinnoverà la richiesta di fornitura per il mese di febbraio con le stesse modalità e per tutti i mesi dell’anno: di fatto, l’imprenditore lavorerà anche coi soldi del fornitore e potrà così disporre del doppio del capitale iniziale, e quindi di un ritorno doppio, secondo il seguente schema riepilogativo di entrambe le ipotesi

 

Hp 1

         

Hp 2

       
                     
 

capitale al 01.01

 

100

   

capitale al 01.01

 

100+100

 

capitale al 31.12

 

124

   

capitale al 31.12

 

124+124

             

interessi impliciti al 31.12

12

             

capitale da restituire al 31.12

100

                     
 

Totale Netto

 

124

   

Totale Netto

 

136

 

Appare evidente il beneficio che spinge l’imprenditore a fare uso dei soldi degli altri. Ma questo è sempre vero?

In realtà no, perché può accadere che il tasso di ritorno dell’attività imprenditoriale sia più basso del tasso di remunerazione richiesta dal fornitore – nell’esempio seguente gli interessi impliciti sono pari a 3 per ogni mese ceteris paribus:

 

 

Hp 3

       
         
 

capitale al 01.01

 

100+100

 

capitale al 31.12

 

124+124

 

interessi impliciti al 31.12

36

 

capitale da restituire al 31.12

100

         
 

Totale Netto

 

112

 

Come si nota, il ricorso al fornitore esoso non solo non ha apportato benefici, ma addirittura ha peggiorato la situazione rispetto all’ipotesi autocratica. Se ne deduce che il ricorso al fornitore conviene solo se la “velocità” di produzione di ricchezza nel tempo supera quella di distruzione della ricchezza stessa per interessi da pagare.

Mi perdoneranno i puristi della Finanza se ho fatto i conti della serva e non ho scomodato i regimi di capitalizzazione della matematica finanziaria, nè ho parlato (in chiave economica) delle variazioni che subisce il ROI quando il capitale di giro (o capitale circolante netto in senso stretto) diminuisce per effetto della politica commerciale, ovvero diminuisce il capitale (netto!) complessivamente investito, ma il mio intento è quello di divulgare una Finanza accessibile a tutti.

Trasferendoci dal caso di scuola alla realtà, aggiungo che il ricorso alla dilazione consente all’imprenditore di rinunciare al finanziamento bancario con tutti gli ovvi benefici in termini di mancata corresponsione degli oneri finanziari (tasso passivo sullo scoperto di conto corrente, notoriamente alto) e mancata prestazione di annessa garanzia (personale o reale; pensate anche ai depositi a garanzia costituiti da obbligazioni subordinate, polizze index linked, derivati ……. brividi?).

Facile, no? Talmente facile, che la maggior parte degli imprenditori non applica questi ragionamenti, interessandosi solo ad attingere liquidità in maniera indiscriminata.

Concludo ricordando le parole di Roberto Bizzarri, professore universitario a Cassino e dottore commercialista in Roma, pronunciate durante un corso di formazione professionale di cui fui frequentatore circa un anno fa: “sono pochissimi gli imprenditori bravi veramente, e si riconoscono dal fatto che riescono subito, a mente, a fare i conti sui rendimenti dell’operazione e trattare coi fornitori per decidere con rapidità a quale fra loro è opportuno rivolgersi”.