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Gianluca Libbi studia e lavora a Latina. Dopo aver conseguito la Licenza Scientifica e la Laurea in Economia e Commercio presso “La Sapienza” di Roma, ottiene l’abilitazione all’esercizio dell’attività di Promotore Finanziario con cui opera fra gli anni 2003 e 2006 per conto delle reti di vendita di due fra le maggiori banche d’affari in Europa. A seguito della frequentazione di alcuni corsi di formazione professionale, a partire dalla seconda metà del 2006 si occupa di consulenza finanziaria e mediazione creditizia per le imprese, approfondendo la propria conoscenza e maturando competenza nelle discipline della finanza aziendale e del controllo di gestione.

La sicurezza all’asta

 

E continua la discesa dei rendimenti dei titoli di Stato sulle scadenze brevi: BOT e CTZ, di nuovo, non consentono di recuperare l’inflazione.

Le cause sono rintracciabili nei forti volumi di domanda dettati dal bisogno di tranquillità, oggi avvertito in misura maggiore rispetto al desiderio di guadagnare, e nelle attese di ribasso del costo del denaro fissato dalla BCE, forse nella misura dello 0,5% già a partire dalla prossima riunione di marzo.

Di concerto

 

Mentre le aziende europee fanno sempre meno ricorso al finanziamento bancario, fenomeno comunque mitigato dalla crescente frequenza con cui le stesse imprese si finanziano presso i privati attraverso l’emissione di bond, la preoccupazione degli esponenti dei governi europei e della Bce è anzitutto quella di sostenere il sistema finanziario.

Le intenzioni sono giuste, perché chi conosce l’economia sa che le crisi finanziarie anticipano quelle economiche, e l’attuale creazione di prodotto delle imprese a livello globale non permette certo di dormire tranquilli trascurando le condizioni di accesso alla moneta da parte del settore privato.

Gli stessi interventi di abbattimento dei tassi voluti da Trichet, forse sin troppo bruschi rispetto ad una politica fine tuning ovvero dei piccoli aggiustamenti preferibile se non altro per la più agevole misurabilità ed elaborazione degli effetti, potrebbero rivelarsi inefficaci quando, come scrisse qualcuno che conosceva le crisi, “si può portare il cavallo alla fonte, ma non si può costringerlo a bere”.

La complessità che il sistema economico vive nel momento attuale deve indurre a risposte sinergiche fra gli Stati, assistite da una rapida evoluzione normativa e concertate in un’ottica di sviluppo del contesto politico fiscale, e non solo monetario univoco a cui si è votata l’Eurozona.

In questo senso, e quando i governi sono costretti a “racimolare” risorse per dare sostentamento alle loro politiche, si rinviene una possibile chiave di lettura delle ultime esternazioni del segretario Ocse e del direttore del FMI riguardanti i c.d. “paradisi fiscali” – fra cui il principato di Monaco, di Andorra e il Liechtenstein – ovvero i luoghi ove la tassazione è quasi assente, e la riservatezza delle operazioni rappresenta un requisito che va a scapito della trasparenza.

Giochi pericolosi

 

Ultimamente sentiamo parlare e leggiamo di derivati quando si solleva l’immancabile polverone per gli avvisi di garanzia nei confronti di esponenti bancari che hanno fatto stipulare contratti ai comuni per la ristrutturazione del debito di enti pubblici, come è accaduto recentemente a Milano.

Altre volte, in televisione, abbiamo assistito a interi programmi dedicati alle vicissitudini di qualche imprenditore ritrovatosi privo del fido bancario e gravato dai debiti perché, inconsapevole di cosa stesse sottoscrivendo, in passato aveva accettato che questa particolare forma di strumento finanziario finisse iscritta nei bilanci della propria azienda in cambio dell’apertura di una linea di credito.

Ma si tratta proprio di una truffa? Esattamente, cosa sono questi derivati?

Immaginate di fare una scommessa con un’altra persona: dietro pagamento di un corrispettivo, ad esempio, vi accordate su un valore massimo che un determinato indice potrà raggiungere; se in futuro tale valore non sarà raggiunto, pagherete il corrispettivo ed una somma di denaro proporzionale all’indice, se invece si verificherà il caso opposto di superamento, dovrete limitarvi a pagare il corrispettivo e la somma di denaro associata all’indice massimo predeterminato, mentre il sovrapprezzo rimarrà a carico della vostra controparte.

Messa così, la definizione di un derivato somiglia a quella di una polizza assicurativa contro i rischi, più che ad un investimento rischioso, ed in effetti questo accade nel caso dell’Interest Rate Cap applicato ai mutui sugli immobili, ove la quota interessi della rata da corrispondere alla banca per un finanziamento a tasso variabile è limitata ad un prefissato tetto massimo in cambio di un ricarico maggiore sul tasso base (il “premio” dell’assicurazione).

Il problema è che poi, con l’introduzione di una serie di sofisticati meccanismi finanziari che non è il caso di approfondire in questa sede, le potenzialità tecniche dei contratti derivati sono state sviluppate a tal punto da farli diventare non solo strumenti moltiplicativi del rischio, capovolgendone il significato appena descritto, ma addirittura congegni di ingegneria finanziaria così complessi da sfuggire alle capacità di controllo e comprensione dei loro ideatori!

Come qualcuno ha detto, non si ha notizia di un contratto derivato (leggasi “scommessa”) che si è risolto a favore dell’investitore e a danno della banca, come sarebbe normale in un qualsiasi gioco a premi in cui uno vince e l’altro perde, scambiandosi i ruoli nel tempo. Questo non significa che il direttore abbia voluto ingannare il proprio cliente proponendogli un gioco “truccato”, dato che nella maggior parte dei casi neppure lui stesso era in grado di sapere con cognizione di causa cosa stesse suggerendo ma, semplicemente, si è limitato a collocare un prodotto secondo una politica di budget imposta “dall’alto”: anche le banche, come qualsiasi attività a scopo di lucro, hanno bisogno di vendere.

Si allunga la catena

 

Secondo IlSole24ORE, gli ultimi aggiornamenti della lista che riporta i nomi delle persone truffate da Madoff – sulla base delle accuse –  riguardano pensionati e dipendenti della Deutsche Bank.

 Gli aderenti, fra cui compaiono anche diversi Italiani, hanno accantonato risparmi nel fondo pensione complementare della banca d’investimenti tedesca che, al novembre dello scorso anno, iscriveva a bilancio uno dei fondi gestiti da Madoff per un totale dell’1,3% del patrimonio complessivo.

L’ultima riunione del CdA del fondo pensione ha provveduto a svalutare la partecipazione posseduta arrivando a dimezzarla, con un abbattimento pari a circa 1,9 milioni di Euro che rende bene la percezione dell’accaduto.

Denaro a pezzi

 

Attorno alla metà dell’800, quando i commercianti francesi introdussero nell’isola di Madagascar l’uso dei denari rappresentati dai franchi d’argento del re Luigi Filippo di Francia, le popolazioni indigene pensarono di spezzare le monete in frammenti.

L’usanza venne praticata perché le monete francesi, così come coniate, erano considerate scomode, mentre, una volta spezzettate, il loro utilizzo poteva essere praticato in base al peso.

Se la finanza anticipa l’economia

 

Qualche giorno fa le Borse USA hanno reagito negativamente alla bocciatura del congresso statunitense al piano di Obama sul rilancio dell’economia che prevede, fra l’altro, la creazione delle bad banks, ovvero delle “discariche” create a seguito di un’opera di nazionalizzazione con l’intento di farvi confluire la melma dei titoli tossici il cui valore, ridotto al minimo, inquina i bilanci delle grandi banche americane.

Non si tratta semplicemente di posizioni ideologiche secondo cui, una volta socializzate le perdite, sarebbe poi altrettanto giusto condividere i profitti, in passato a vantaggio quasi esclusivo dei top manager responsabili della diffusione patologica della finanza creativa. Secondo l’economista Francesco Giavazzi, si sta manifestando una corretta presa di coscienza sulle conseguenze che verrebbero a patire i mercati a seguito della diffusione di aspettative inidonee alla logica di sviluppo della politica degli investimenti, sulla scorta dell’esperienza del New Deal all’epoca di Roosvelt.

Infatti, il rischio di interventi giuridici ed economici potenzialmente limitativi della libertà d’impresa, nell’attuale contesto misurato dalla riduzione dell’occupazione operata dalle imprese in maniera più rapida rispetto al calo della produzione (quando in passato è avvenuto il contrario), si traduce in aspettative degli imprenditori fortemente pessimistiche.

Dunque per gli USA si rende necessario, parallelamente ad altri interventi programmati, ripristinare gli ordini intervenendo con la politica fiscale in termini di spesa pubblica e tasse, ed intervenire in maniera sostanziosa dato che i numeri previsti dal piano dei giorni scorsi non apparivano sufficienti – in altre parole, non solo il piano non dettagliava le modalità di scambio dei titoli tossici, ma neppure l’intervento assumeva consistenza quantitativa ritenuta accettabile.

Ecco perché, nell’incertezza imperante sui risultati futuri di banche e imprese, gli operatori di Borsa hanno pensato di vendere.