Archivi tag: luminismo caravaggesco

Crocifissione di San Pietro: elevazione dello spirito e caduta della materia secondo Caravaggio

A capo rovescio al momento del supplizio, nell’atto ultimo di offrirsi inferiore a Cristo crocefisso, San Pietro partecipa al vortice compositivo che origina da un complesso articolato di legni e corpi sovrapposti, affioranti dal buio e scolpiti con la luce. Decentrata ma funzionale all’equilibrio geometrico della rappresentazione, parallela alla veste gettata nell’angolo e ad essa congiunta dalla diagonale, la corda tesa traccia una linea che si sdoppia nell’ombra per effetto di un mirabile esercizio di illusionismo ottico.

Coperti o protetti dall’oscurità, drammatico simbolo del male, torturatori anonimi voltano le spalle indifferenti alla presenza sovrannaturale, sollevano la croce e ripetono movimenti faticosi che tradiscono la fredda esecuzione di un’opera meccanica; al contrario la grazia divina, significata dalla luce, ravviva per intero le membra di Pietro trafitte dai chiodi e penetra visivamente fino ai tessuti muscolari e alle arterie, accostate alle venature del legno fresco per analisi esaustiva della natura tutta e superamento della sola indagine esteriore.

Le energie negative prodotte da soggetti ruvidi e infangati, trasmesse dagli strumenti di tortura e accumulate nel volto sfinito di un vecchio dolorante, si trasformano e forzano il Santo a resistere alle leggi fisiche della materia che cade e degrada: con il moto contrapposto dell’innalzamento del capo, nell’attimo decisivo del riavvicinamento a Dio, si compie la testimonianza dell’accettazione del martirio e trova espressione la volontà di affermazione suprema della Fede.

Si realizza in tal modo il fine teologico della rappresentazione pittorica, commissionata in epoca di Controriforma per divulgare universalmente la tesi erasmiana sul libero arbitrio che contrappose cattolici e protestanti: se per la dottrina luterana l’uomo conduce un’esistenza segnata inesorabilmente dal compimento del male e può salvarsi dal peccato originale soltanto grazie al dono della Fede, nell’esposizione laterale della cappella Cerasi è descritto il principio secondo cui ognuno può scegliere liberamente di percorrere la via della grazia proprio come Pietro, torturato ai tempi delle persecuzioni dei cristiani nell’antica Roma, rifiutò di rinnegare la propria religione e preferì la pena di morte alla sopravvivenza terrena nel peccato dell’idolatria pagana.

Dopo il superamento riconosciuto delle prove di maturità nella Cappella Contarelli, per un compenso di 400 scudi che verrà saldato il 10 novembre 1601 dagli eredi del committente Tesoriere Generale della Camera Apostolica monsignor Tiberio Cerasi, nel settembre del ‘600 Michelangelo Merisi inizia a dipingere due grandi tavole in cipresso per la chiesa di Santa Maria del Popolo. La rappresentazione del martirio di San Pietro è giunta ai giorni nostri nella seconda versione in olio su tela; la prima, rifiutata dalla committenza, è andata smarrita.

Ricorrendo all’espediente del non-luogo, dove trova idonea collocazione il simbolo della pietra avvicinata all’attrezzo necessario della pala per scavare il terreno e conficcare la croce, Caravaggio si serve di modelli tratti dal popolo e sancisce l’abbandono delle forme idealizzate tipiche del periodo giovanile, fornisce indiscussa prova di capacità tecnica straordinaria attraverso la composizione del brano della corda che affonda nella schiena del traente e per metà vi getta ombra, impone coi colori caldi la potenza del suo naturalismo all’attenzione degli artisti accorsi a Roma per apprendere i nuovi insegnamenti e, con uno stile di comunicazione innovativo per la schiettezza del linguaggio impresso nell’immagine sacra, ripresenta il tema di carattere religioso agli osservatori del nuovo mondo che abbandona le certezze e i dogmi medioevali per gli interrogativi e l’analisi della realtà oggettiva nell’età moderna.

La Cena in Emmaus di Londra: la meraviglia dell’apparizione per Caravaggio

Se risulta di particolare interesse il raffronto tra il Cupido di Berlino (Amore vincitore) e quello dipinto a Malta (Amore dormiente), ulteriori riflessioni sorgono dal paragone tra la “cena in Emmaus” della National Gallery di Londra e lo stesso tema esposto nella tela della Pinacoteca di Brera (http://www.questidenari.com/?p=2274).

La discriminante tra la prima e la seconda opera, in entrambi i casi, è rappresentata dall’anno di produzione che aveva preceduto o seguito l’uccisione in duello di Ranuccio Tommasoni: segnato profondamente nell’animo dai fatti del 1606, Caravaggio caratterizzerà i successivi dipinti con i tratti dell’essenzialità e dell’afflizione, costretto come fu alla fuga perpetua che ne limiterà i tempi per l’esercizio a lui caro dei virtuosismi estetici.

Dipinta nel 1601, la prima versione della “cena in Emmaus” descrive l’attimo significativo del riconoscimento di Cristo risorto da parte dei pellegrini che, ignari, lo avevano incontrato per strada ed invitato a cenare con loro. “Nostro signore in fractione panis”, come annotò nei libri contabili Ciriaco Mattei per aver pagato al Maestro milanese la somma di 150 scudi, impartisce la benedizione in un ambiente spazioso e profondo, invaso da una luce che dà piena evidenza ai protagonisti.

La meraviglia dei presenti fa sobbalzare sulla sedia quello di sinistra, reso con eccezionale realismo, mentre quello di destra mima la croce. E altrettanto forte è lo stupore di chi vede apparire nel quadro la canestra di frutta, in bilico sull’orlo della tavola, colma di uve e fichi fuori stagione (dato che, notoriamente, questi frutti maturano alcuni mesi dopo il periodo pasquale). Assieme alla canestra compaiono sulla tavola il vino, forse simbolo del sangue di Cristo, ed il pollo con le zampe dritte e annerite, simbolo di morte.

In piedi, incuriosito ma inconsapevole, rimane l’oste, soggetto tra i primi rappresentati da Caravaggio (frequentatore assiduo di locande), qui capace di fornire ulteriore e chiara dimostrazione delle proprie capacità tecniche: l’ombra del taverniere fa da aureola al Cristo androgino, imberbe, non segnato dal martirio della crocifissione, che riporta Michelangelo Merisi a scegliere le soluzioni della pittura di figura tipiche del periodo giovanile.

Anche la “cena in Emmaus” della National Gallery di Londra può essere ammirata presso le Scuderie del Quirinale (http://www.questidenari.com/?tag=scuderie-quirinale).

San Giovanni Battista della Galleria Corsini: il Caravaggio inquietante

Occorrerebbero nuove fonti storiche per rafforzare la convinzione che il dipinto denominato “San Giovanni Battista”, conservato nella Galleria Corsini a Roma, raffiguri proprio il santo anziché tutt’altro soggetto.

Il quadro, in una qualunque sua parte, non riferisce esplicitamente al profeta, né Caravaggio intitolava le proprie opere; addirittura, la sua autenticità è stata in dubbio per molto tempo, e solo la presenza di analogie con altri dipinti di Michelangelo Merisi e, soprattutto, le ultime indagini radiografiche ne hanno consentito l’attribuzione.

La storia stessa dell’opera non aiuta ad effettuare ricostruzioni. Forse entrò a far parte della collezione attuale a seguito del matrimonio di Maria Vittoria Felice Barberini (celebrato nel 1758 con Bartolomeo Corsini): sua madre Cornelia Costanza, alla morte dello zio, iniziò ad amministrare il patrimonio di famiglia e, attraverso l’alienazione di molti beni, diede avvio alla dispersione della grande collezione Barberini.

Il nudo di fronte al quale ci troviamo, ancora una volta eseguito magistralmente e che certo ricalca quello di Kansas City (http://www.questidenari.com/?p=2297) per la postura inclinata del giovane, coi lineamenti coperti e l’espressione torbida, per il drappo rosso avvolgente come la natura intorno, e per la presenza del bastone su cui poggia la mano, suggerisce una forte sensazione di estraneità alla tematica sacra. Piuttosto, ritroviamo in quest’opera il consueto e provocatorio gusto di Caravaggio per il proibito, dato che non è difficile individuare nel modello prescelto i tipici caratteri del ragazzo di vita tra i tanti frequentati dal pittore.

Sul piano tecnico si ripete la ricerca della trasposizione del momento di vita vissuta, emozionante per la sua riuscita nell’esplorazione delle membra in movimento: il braccio sinistro, che non comunica la sensazione di stabilità di quello destro, disegna ombre leggibili sul corpo del giovane, definito con la consueta capacità narrativa ed ispirata sensualità, e rafforzato dal contrasto tra il biancore dell’incarnato e l’oscurità dello sfondo naturale.

Il S.Giovanni Battista della Galleria Corsini, databile attorno al 1602, può essere ammirato presso le Scuderie del Quirinale (http://www.questidenari.com/?tag=scuderie-quirinale).

Flagellazione di Cristo: bruttezza e sensualità a contrasto per Caravaggio

Per la tela raffigurante la “flagellazione di Cristo”, destinata alla chiesa di San Domenico Maggiore, Caravaggio ricevette pagamenti nel maggio 1607, anno successivo a quello dell’omicidio del notaio Ranuccio Tommasoni. L’esecuzione dell’opera, oggi in deposito presso il Museo di Capodimonte a Napoli, non può che aver risentito della particolare condizione esistenziale vissuta da Merisi in quel periodo, riflettendone la tragicità.

Tuttavia, la violenza espressa dai carnefici è sapientemente inquadrata in un contesto pittorico caratterizzato dalla consueta razionalità dello spazio e della luce. Staccati dalla colonna centrale, i personaggi si distribuiscono in maniera simmetrica ad eccezione del più lontano, chino e quasi completamente immerso nell’ombra. Lo sfondo è nero o scurissimo, e le espressioni di malvagità sono appena visibili ma eloquenti sui volti degli aguzzini nerboruti, intenti a procurare martirio sulla carne di Cristo, così debole eppure sensuale nella rappresentazione di un corpo magnifico ed illuminato.

La bellezza del Cristo appare esaltata, anziché impoverita, dalle violenze patite, secondo una descrizione non nuova per l’Artista milanese: uso a proporre il paradosso a lui molto caro, Caravaggio accentua i lineamenti rozzi e brutali dei modelli tratti dal popolo per dare maggiore risalto al candore del protagonista, a sua volta sconcertante per la capacità di comunicare un impulso di carnalità profana.

Solo a partire dal 14 aprile 2010, la Flagellazione potrà essere ammirata presso le Scuderie del Quirinale (http://www.questidenari.com/?tag=scuderie-quirinale).

Incoronazione di spine: i triangoli incidenti di Caravaggio

Opera solo recentemente riconosciuta come originata dai pennelli di Caravaggio almeno nella parte delle figure centrali, forse eseguita dal Maestro per sdebitarsi della protezione offerta da Marcantonio Doria, questa dolce e violenta “Incoronazione di spine” ripropone fra i chiaroscuri la trasposizione della personalità contrastata del genio milanese.

I movimenti degli aguzzini che infieriscono sul Cristo, senza dimostrare alcuna pietà umana né rispetto per il divino, e l’atteggiamento dell’armigero dal cappello piumato che assiste senza patemi alle violenze perpetrate, imprimono forza crudele e schietta ad una scena compassionevole: Gesù, indebolito e con i capelli cadenti, è sul punto di abbandonarsi.

Ma contrastanti, eppure alcuni componenti tra loro, sono anche gli innumerevoli triangoli disegnati dalle linee dei bastoni, delle piume, della corazza, del fascio di luce e dei corpi, fra cui quello di Cristo rappresenta uno studio bellissimo di nudo. Caravaggio ne ricava l’effetto vorticoso che polarizza la tensione su Cristo stesso, originando dall’insieme di figure riducibili ad una “geometria non euclidea” – con le parole di Roberto Longhi, forse il più grande critico d’arte del novecento.

L’Incoronazione di spine (1607?) del museo di Vienna (Kunsthistorische Museum Wien Mit Mvk und ötm Reproduktionsabteilung) può essere ammirato presso le Scuderie del Quirinale (http://www.questidenari.com/?tag=scuderie-quirinale).

Adorazione dei pastori: l’apparente serenità negli anni tormentati di Caravaggio

La rappresentazione quieta e dolce di questo attimo di devozione messo in scena da Caravaggio, oggi presso il Museo Regionale di Messina, nasconde significati più profondi di quanto possa comunicare la sua apparente semplicità.

Dipinto nel penultimo anno di vita su commissione del senato di Messina per la cifra favolosa di oltre mille scudi, l’Adorazione dei pastori del 1609 ripropone la ricerca stilistica delle opere precedenti e la fonde con l’uso degli spazi vuoti. Nuovamente, la paura del pittore condannato a morte si trasmette nell’opera, qui nell’espressione della Vergine rannicchiata a protezione del Bambino.

Con una soluzione simile a quella delle linee sperimentate nel Martirio di San Matteo, le diagonali della croce luminosa, disegnata dalla figura di Maria e dalla “discesa” dei pastori così mirabilmente definita, si pongono con evidenza a contrastare la tettoia e le restanti pareti, sfondo scuro e quasi incompiuto dell’opera.

Completano il dipinto gli elementi della natura morta raffigurati dagli strumenti del falegname e dai fili di paglia, un’altra costante di tutte le opere di Michelangelo Merisi che, a parere della critica, sarebbero completamente assimilabili alle nature morte, senza esclusione degli stessi personaggi ritrattati.

Oggetto di recente restauro, l’Adorazione dei pastori è attualmente in mostra presso le Scuderie del Quirinale (http://www.questidenari.com/?tag=scuderie-quirinale).