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Ragazzo morso da un ramarro: il Caravaggio ingannevole della Fondazione Longhi

Il rapido successo delle opere di Caravaggio ebbe come diretta conseguenza la riproduzione in più esemplari di uno stesso dipinto al fine di realizzare diverse vendite ad altrettanti clienti. Il fenomeno della duplicazione, tuttavia, pone ancora oggi il quesito sull’autenticità dell’opera che potrebbe essere stata eseguita dal Maestro come da uno o più dei suoi allievi.

Nella versione appartenente alla Fondazione Longhi del “ragazzo morso da un ramarro”, caratteri energici ed irritati sostengono la raffigurazione di un giovane intento a prendere un frutto, col risultato di provare dolore e spavento per un morso. Vi si trovano le consuete peculiarità della mancanza di uno sfondo, dell’azione sorpresa nell’attimo significativo, della natura morta.

L’evidente simbologia sulle illusioni della giovinezza, e la potenza espressiva utilizzata, iniziano a confliggere con la sensualità molle dei primi dipinti (evidente nel “giovane con canestra di frutta” http://www.questidenari.com/?tag=mario-minniti); il simbolismo riporta anche all’amore, rappresentato dalla rosa semi-appassita all’orecchio del giovane e da quella fresca nella caraffa, e forse alla sessualità rintracciabile nella morsicatura della lucertola, e quindi all’ammonimento del piacere.

Sul piano tecnico, il culmine del dipinto è senza dubbio la boccia trasparente in cui sono immersi i gambi dei fiori, esemplare per la rifrazione della luce proiettata sul tavolo e per la riflessione della luce proveniente dalla finestra, in un capolavoro di illusione ottica naturalistica.

Dipinto attorno al 1595, il “fanciullo morso da un ramarro” può essere ammirato a Firenze dal 22 maggio al 17 ottobre 2010 presso la mostra “Caravaggio e la modernità. I dipinti della Fondazione Roberto Longhi” a Villa Bardini.

I bari: la realtà colta nell’attimo significativo da Caravaggio

Tra i quadri più noti e celebrati della produzione iniziale di Caravaggio, quella precedente il periodo romano, “i bari” rappresenta una scena di genere ispirata dalle frequentazioni nelle taverne.

Un giovane ben vestito, immerso nel gioco ed ingenuo come il protagonista de “la buona ventura”, non si accorge che i personaggi intorno lo stanno imbrogliando: l’uno suggerisce e l’altro maneggia per estrarre le carte truccate.

Commissionato dal primo protettore di Caravaggio, il cardinale Del Monte, e poi, dopo molti passaggi di proprietà, venduto nel 1899 a seguito del crack della Banca Romana, smarrito e poi ancora ritrovato, il dipinto risalta per la sensibilità descrittiva con cui la bellezza, la gentilezza, la giovane età e l’eleganza dei protagonisti fanno da contrasto alla pochezza morale della scena narrata.

Anche se dal punto di vista tecnico l’opera rivela le lacune di un pittore autodidatta, “i bari” ci consente di apprendere il percorso evolutivo artistico di Michelangelo Merisi che, invece di cominciare dal disegno, iniziava a dipingere l’ambiente circostante e poi completava la rappresentazione costruendo i personaggi in primo piano. Per l’Artista, la ricerca dell’attimo cruciale non lascia spazio alla realtà ininfluente, come sta a dimostrare lo sfondo vuoto.

Anch’esso di attribuzione certa, “i bari” (1594 circa) del Kimbell Art Museum di Fort Worth (Texas) può essere ammirato presso le Scuderie del Quirinale (http://www.questidenari.com/?tag=scuderie-quirinale).

Adorazione dei pastori: l’apparente serenità negli anni tormentati di Caravaggio

La rappresentazione quieta e dolce di questo attimo di devozione messo in scena da Caravaggio, oggi presso il Museo Regionale di Messina, nasconde significati più profondi di quanto possa comunicare la sua apparente semplicità.

Dipinto nel penultimo anno di vita su commissione del senato di Messina per la cifra favolosa di oltre mille scudi, l’Adorazione dei pastori del 1609 ripropone la ricerca stilistica delle opere precedenti e la fonde con l’uso degli spazi vuoti. Nuovamente, la paura del pittore condannato a morte si trasmette nell’opera, qui nell’espressione della Vergine rannicchiata a protezione del Bambino.

Con una soluzione simile a quella delle linee sperimentate nel Martirio di San Matteo, le diagonali della croce luminosa, disegnata dalla figura di Maria e dalla “discesa” dei pastori così mirabilmente definita, si pongono con evidenza a contrastare la tettoia e le restanti pareti, sfondo scuro e quasi incompiuto dell’opera.

Completano il dipinto gli elementi della natura morta raffigurati dagli strumenti del falegname e dai fili di paglia, un’altra costante di tutte le opere di Michelangelo Merisi che, a parere della critica, sarebbero completamente assimilabili alle nature morte, senza esclusione degli stessi personaggi ritrattati.

Oggetto di recente restauro, l’Adorazione dei pastori è attualmente in mostra presso le Scuderie del Quirinale (http://www.questidenari.com/?tag=scuderie-quirinale).